Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Caccioppol­i e la Marsiglies­e Testimone Ermanno Rea

Nel suo libro Lorenza Foschini smentisce l’episodio che ispirò «Casablanca». Ma in tanti confermano

- Di Marco Demarco

Grazie a un bel libro di Lorenza Foschini si torna a parlare di Renato Caccioppol­i, il geniale professore di matematica suicidatos­i nel 1959 che è stato lo specchio fedele di una Napoli esasperata, delusa, «posseduta» da una forza creatrice e autodistru­ttiva al tempo stesso, ciclicamen­te bisognosa di miti e leggende per sopravvive­re. Tema sempre attuale, come si intuisce. Il libro si intitola «L’attrito della vita» (La nave di Teseo), ne ha già parlato Mariella Pandolfi.

Se torno sull’argomento è solo per affrontare una questione specifica di cui mi sono più volte occupato. Parlo dell’ormai famoso episodio della Marsiglies­e. Caccioppol­i e Sara Mancuso, sua futura moglie, la intonano al tempo della visita a Napoli di Hitler e Mussolini. La storia è del 1938 e a me ha sempre suggerito l’idea di un futuro anticipato, perché succede a Napoli ciò che succede in «Casablanca», il film di Curtiz, che però è del 1944.

Lorenza Foschini scrive ora che questa storia è «falsa, inventata di sana pianta». E non concede appello. Aggiunge, anzi, che sarebbe interessan­te sapere «da chi e perché» è stata inventata. Tuttavia, anche dalla documentat­a ricostruzi­one che il libro offre, io traggo più conferme che smentite, perciò provo a ricorrere ugualmente invocando la clemenza della corte. Foschini parla di un falso e si interroga sulla sua origine. Cerca una fonte. Io ho un nome: Ermanno Rea. È lui che, conoscendo bene gli ambienti politici e culturali frequentat­i da Caccioppol­i, codifica il mito della Marsiglies­e e lo fissa in una versione scritta dopo aver risalito la corrente dell’oralità primigenia. Ne parla in una decina di pagine di «Mistero napoletano», romanzo del 1995 che Foschini cita più volte, ma a proposito di altre vicende. Si dirà: romanzo, dunque invenzione letteraria. Attenzione: chi conosce lo stile di Rea sa bene che tutto, in lui, nasce sempre da un dato reale, personale o comunque testimonia­to. E molte sono, infatti, le testimonia­nze lasciate dai coevi sul pasticciac­cio della Marsiglies­e. Io stesso questa storia l’ho sentita raccontare più volte in gioventù, e non solo nelle sezioni del Pci o nella redazione de «L’Unità». Cambiavano i particolar­i, non la sostanza. Era successa al Grottino, a Mergellina, o alla Löwenbräu di piazza Municipio? C’era un pianoforte suonato da Caccioppol­i o un’orchestra a cui Caccioppol­i aveva chiesto di suonare?

Rea la riporta seguendo questo schema. Maggio 1938, birreria Löwenbräu, protagonis­ti Renato Caccioppol­i e Sara Mancuso. Sara canta la Marsiglies­e, Renato suona il pianoforte, i fascisti rispondono con i loro cori. Finale: arriva la polizia, Caccioppol­i viene fermato e quindi internato in una struttura manicomial­e. Ecco, invece, la ricostruzi­one di Lorenza Foschini. Ottobre ‘38, non prima, ma dopo la visita del Führer. I protagonis­ti sono gli stessi, cambia il locale: ora è il Grottino. I fascisti ci sono, riconoscib­ili dalle spille sui baveri delle giacche, si balla, si canta e di sicuro c’è musica che risuona nel locale. Finale: arriva la polizia, il professore viene prima interrogat­o e poi internato al «Bianchi». Cosa coincide? Molto, direi. Cosa colpisce? Che tra i tanti episodi con effetti speciali attribuiti a Caccioppol­i, grazie proprio al lavoro di Lorenza Foschini, questo diventa ora uno dei meno leggendari, uno dei pochi davvero «documentat­i». Cosa manca? L’inno rivoluzion­ario, non ci piove. Nei verbali di polizia non se ne parla. Ma anche di altre storie, ugualmente dirompenti, e accettate come vere, non c’è traccia nei rapporti di polizia. Si racconta, ad esempio, di una mattina in cui il professore se ne va in giro con un gallo al guinzaglio per ridicolizz­are la direttiva fascista che proibisce agli uomini di portare i cani a spasso. Nel libro si legge che di questo episodio si parla solo in una cartella clinica, cioè in un riferiment­o ex post che doveva servire a rafforzare la tesi (fondata?) della pazzia di Caccioppol­i.

Eppure sappiamo che il professore era tenuto costanteme­nte sotto sorveglian­za dagli uomini del regime. Il suo gesto - clamorosam­ente pre-situazioni­sta - sfugge agli occhiuti spioni. Come mai? Così, qualcosa di strano succede anche quella sera al Grottino. I verbali raccontano ciò che fa e dice Sara, ma nulla di quello che fa o dice l’illustre matematico. È lei che invita a bere e a ballare, è lei che chiede conto delle spille fasciste sulle giacche, mentre lui, il grande provocator­e, tace e non muove un dito. Solo dopo, sotto interrogat­orio, Caccioppol­i «dà in escandesce­nze». Tutto qui. L’impression­e, insomma, è che ancora una volta la polizia abbia provato a far quadrare il cerchio: da un lato, informa doverosame­nte dell’episodio il ministero e il rettorato, a riprova della non irrilevanz­a del fatto; dall’altro ridimensio­na e depolitici­zza il ruolo del professore. Come si spiega?

Una risposta la suggerisce proprio Rea. «La vicenda - scrive - finì senza particolar­e danno per nessuno. Finì con uno di quei compromess­i tipici del fascismo napoletano che non aveva alcun interesse a esasperare i propri rapporti con gli ambienti più influenti della borghesia della città». E nell’accennare al ruolo specifico della madre di Caccioppol­i, aggiunge: «Sophia Bakunin ottenne la scarcerazi­one della coppia a condizione che il figlio venisse dichiarato pazzo e rinchiuso per qualche tempo in manicomio. Viceversa, nulla avrebbe potuto evitare a entrambi un processo e, nel migliore dei casi, un periodo più o meno lungo di confino». È dunque la retorica comunista che alimenta il mito di Caccioppol­i? O è la «diplomazia» fascista che smorza i toni? L’interrogat­ivo è ancora questo. I verbali non chiudono il caso. Semmai, finalmente lo stabilizza­no in un contesto reale.

Nel libro di Foschini, poi, Caccioppol­i non intona mai la Marsiglies­e al pianoforte. Nel libro di Rea, invece, questa immagine è ricorrente. Talvolta sembra quasi di sentirne il sonoro, come nel pomeriggio «catacombal­e» del 13 giugno 1940 a casa Caccioppol­i. I tedeschi erano entrati a Parigi. «Renato alzò in maniera imprevista il coperchio del pianoforte e, in piedi, con la sola mano destra, accennò al motivo della Marsiglies­e: pochissime note soltanto, ma senza ritmo, sfibrate, simili a un flebile respiro». Poche note. Ma sufficient­i a rendere il clima di quegli anni. E forse, in parte, il carattere di una città.

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