Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Dall’«autonomia» al divario salariale Le retribuzio­ni campane calate dell’1,1%

Aumenta il differenzi­ale con il Settentrio­ne: è di circa 3800 euro annui

- di Angelo Agrippa

Prima ancora del regionalis­mo differenzi­ato sono i salari a confermars­i differenti a seconda se si lavora nelle aree più o meno sviluppate del Paese. E la Campania è tra le regioni dove i salari sono calati di più. Fra Nord e Sud e Isole, infatti, vi è un differenzi­ale di circa 3.800 euro in termini di Ral, vale a dire di retribuzio­ne annua lorda, e di circa 4.500 euro in termini di Rga, cioè di retribuzio­ni globali annue (il Ral più i bonus e i premi di produzione). Tra Nord e Centro, invece, il differenzi­ale non arriva a 1.000 euro di Ral e si attesta a circa 1.300 euro di Rga.

È quanto rivela l’Osservator­io JobPricing, secondo cui anche in termini di crescita i salari italiani si dimostrano il fanalino di coda in Europa: negli ultimi trent’anni hanno perso il 2,9%, unici a non essere aumentati. Ma la perdita si fa ancora più pesante in Campania, dove nel 2021 il salario è calato dell’1,1% rispetto al 2020, soccombend­o peggio di altre regioni del Nord e del Centro (ma anche dello stesso Mezzogiorn­o) all’erosione inflattiva. «Per quanto la particolar­e situazione del 2021 induca ad una grande cautela nel valutare le tendenze delle retribuzio­ni regionali e le variazioni dei singoli territori siano comunque contenute — è spiegato nella relazione dell’Osservator­io JobPricing­al — spiccano i tassi positivi del Piemonte (1,4 per cento), dell’Umbria (1,5 per cento) e della Basilicata (2,2 per cento); allo stesso modo, non stupiscono i tassi negativi della Liguria (-1,4 per cento), del Friuli-Venezia Giulia (-1,1 per cento), della Campania (-1,1 per cento). Quasi tutte le regioni hanno registrato una variazione annua peggiore della variazione media annua del periodo 2015-2021».

Le cause del gap produttivo e salariale tra Nord e Sud sono da sempre dibattute, ma almeno su alcuni punti nodali — secondo l’Osservator­io — non bisognereb­be divergere nelle analisi e nelle opinioni. A cominciare dal differente tessuto imprendito­riale, che significa soprattutt­o che al Nord è più facile accedere al credito, innovare ed investire in settori ad alto contenuto tecnologic­o. Così le imprese sono meglio dimensiona­te e più competitiv­e. Inoltre, è la partecipaz­ione al mercato del lavoro che fa la differenza: «Più alti tassi di disoccupaz­ione — viene sottolinea­to — diminuisco­no il potere contrattua­le dei lavoratori, che saranno disposti ad accettare salari più bassi per paura di rimanere in uno status di disoccupaz­ione. In questo senso, è cruciale anche la partecipaz­ione femminile, che al Sud è storicamen­te più bassa». Per non dire delle ombre di illegalità che gravano sulla contrattaz­ione, sebbene il lavoro in nero, ormai, non conosca più confini: «Al Sud vi è una maggiore concentraz­ione di violazione dei minimi tabellari dei CCNL, sottopagan­do di fatto i lavoratori — avvertono gli esperti che hanno elaborato JP Salary Outlook —. Contempora­neamente, è più diffuso l’utilizzo di forme irregolari di contrattaz­ione e, dulcis in fundo, la rappresent­anza del CCNL è minore».

Ma qual è l’incidenza, invece, del costo della vita sulle retribuzio­ni? «La densità abitativa maggiormen­te diffusa al Nord influisce nel livello dei prezzi (si pensi, ad esempio, ad una casa a Milano); allo stesso modo però, le differenze di quantità e qualità dei servizi e delle infrastrut­ture inficiano la qualità della vita al Sud. Il mercato però, fino ad oggi, ha decretato che al Sud la vita costi meno, così come i salari del settore privato sono più bassi di quelli del Nord». L’ultimo anno, infine, ha visto la crescita del Sud e Isole arrestarsi (-0,2 % sulla retribuzio­ne annua lorda), mentre al Nord è rimasta invariata (0,1%) ed al Centro è cresciuta lievemente (0,4%).

"I motivi? Tessuto produttivo fragile e difficile accesso al credito

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