Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Perché negarci il sogno di Dybala in azzurro

- Di Vittorio Zambardino

Eperché a Roma si può sognare e a Napoli no? Giorni fa la tifoseria gialloross­a ha discusso in modo serio, e sottolineo serio, della possibilit­à di ingaggiare Cristiano Ronaldo. Follia d’estate, si dirà, quando le parole sono più leggere e costano meno - ma attenzione, si incistano nella memoria dei tifosi e fanno crescere la pianta velenosa delle aspettativ­e.

Ricordiamo ancora il disinvolto «scudetto» pronunciat­o da Carlo Ancelotti. Sono i giorni di una follia impalpabil­e che cerca di fare vento su un mercato piatto e noioso, tutti lì a sfogliare almanacchi e siti internet già solo per capire come si pronuncia Kvaratquel­lolà. Mercato povero e modesto per i poveri - fra i quali noi - e noioso perché ormai scavalcato e distaccato dai troll della rete nell’esercizio della fake news quotidiana - addio «effetto ‘cazzo!», teorizzato negli anni ‘80 da un direttore di Tuttosport, per dire della reazione che il tifoso doveva avere di fronte alle notizie che lui pubblicava. Se la terra è piatta e i vaccini installano microchip nel cervello, allora anche la Roma può prendere CR7, pur se per un solo breve pomeriggio. E perché il Napoli non potrebbe ingaggiare (che dico?) un Paulo Dybala per un biennale? Non vogliamo esagerare. Attenzione: non è uno scherzo Molti i requisiti che giocano a favore di questa magia: in primo luogo l’uomo ci ha più volte fatto male e nessuno ha più chance nel calcio che colui che ti ha più volte castigato. In secondo luogo l’operazione per portarlo all’Inter si è fermata, pare ormai definitiva­mente.

Ci sarebbe da pagargli il «solo» stipendio, che già così com’è basterebbe a trattenere con larghi sorrisi sia KK che Mertens e ne resterebbe forse per un portiere con i piedi, e questo è l’unico vero punto debole sul piano logico, quello stipendio e i suoi annessi e connessi. Il presidente vedrebbe saltare la sua filosofia del «salary cap». Poi bisognereb­be spiegare al ragazzo che il numero di maglia va cambiato, va bene che sei argentino ma la 10 non si tocca, non scherziamo. Domanda, ma i soldi per ingaggi, bonus e agenti dove si prendono?

Signori, la nostra bancarella nel suk del pallone è ricca di buoni giocatori e seri profession­isti che stanno partendo dopo aver assaggiato il frutto amaro della non riuscita o della poca stima del mister: non si riescono a grattare sei-otto milioni da quelle partenze tanto vociferate - noi qui siamo signori, parliamo di problemi e non di persone, ma ci sono almeno tre nomi sulla bocca di tutti? Sì, il problema delle evidenti rivalità che sorgerebbe­ro nel gruppo per uno stipendio alto rimarrebbe, ma qui c’è un’esigenza prioritari­a: sparigliar­e, non morire di pizzichi.

La noia e la tregua nella guerra civile mediatica di radio e tv ci mangiano vivi, e ci sono dichiarazi­oni da parte dei commentato­ri-mandarini che non lasciano prevedere niente di buono, vedo male Spalletti.

C’è da curare la depression­e ormai cronica di una piazza che non va allo stadio - vivo a Roma ed ogni giorno i dati sulla campagna abbonament­o dei Friedkin mi provocano un attacco di schiattigl­ia - e va lenita la mùtria nevrotica di una società che non comunica. Ci vuole un colpo d’ala, una ventata di passione, un nome per il quale pensare che l’abbonament­o vada fatto ad ogni costo. Certo, finora il ragazzo ha vestito una maglia spaventosa, indigeribi­le, ma alle crociate, tranne Vladimir Putin, non crede più nessuno. Sarebbe un anno o forse due, uno scudetto un rigo appena negli annuari, e poi te ne vai a Madrid o dove ti pare.

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