Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lady Yamamay si racconta: «Vivo tra Busto Arsizio e Milano ma torno a casa quando voglio»
Al via una spedizione in catamarano per salvare il Mediterraneo «Le nostre analisi riscriveranno le regole, sostenibili, del tessile»
«La missione scientifica del Catamarano One segna per Yamamay una linea di confine rispetto alla nostra idea di condivisione di idee e valori. E ci colloca tra le prime aziende in Europa intenzionate a dare maggiore valore all’esperienza, alla conoscenza fondata sull’apprendimento continuo, alla scoperta di nuove possibilità per reagire al collasso ambientale». Barbara Cimmino ha l’entusiasmo di una ragazzina — bermuda blu navy e una shirt bianca con fantasia di nodi marinari — e il piglio di una manager. É a capo della divisione responsabilità sociale e innovazione di Yamamay, l’azienda di famiglia, e ha saputo disegnare un percorso personalissimo per affermare la sua idea di impresa. É stata per una settimana a bordo di One — il catamarano di 45 piedi che dal 30 aprile al 23 luglio attraversa il Mediterraneo e sosta presso 25 aree marine protette per realizzare una inedita analisi sullo stato di salute del mare — abbracciando lo stile del centro velico Caprera che con One Ocean foundation, Polaroid, Sorgenbia e Sinergye, oltre che con Yamamay sta realizzando il progetto con uno staff di biologi marini. Barbara ha navigato da La Maddalena a Carlo Forte, facendo il mozzo, recuperando campioni di plancton, riempiendo provette, cucinando per l’equipaggio.
Da dove nasce lo spirito ambientalista di Yamamay e Carpisa?
«Siamo da sempre impegnati nella tutela delle tartarughe Caretta Caretta, il simbolo di Carpisa è proprio una tartaruga. E già 15 anni fa mio padre fu protagonista di una svolta sostenibile, legata alla scelta di impegnarci per l’Amazzonia. Nel 2008 siamo stati il primo marchio al mondo a dare un contributo per salvare il polmone verde del pianeta. Io credo di essere nata ‘’sostenibile’’. Nell’armadio della casa di Napoli conservo tutti i tailleur di quando ero ragazza. Una bella antologia della moda italiana anni Ottanta — Giorgio Armani, Basile... — che va perfettamente alla più piccola delle mie figlie, che mi somiglia tanto».
Una holding, Pianoforte, due famiglie e marchi diversi. Siete tutti d’accordo sulle scelte da compiere?
«Il sentire ambientalista è comune, le strategie condivise. La famiglia Cimmino è concentrata sul fronte dell’intimo, Carlino sulla pelletteria. Abbiamo una organizzazione che ci coinvolge su fronti diversi: niente sovrapposizioni e capacità di essere team, con competenze e responsabilità differenti. Ciascuno ha il suo peso: mio fratello Gianluigi è l’ad e ha sempre avuto il talento del marketing e slancio verso nuove idee, mio marito Francesco Pinto è presidente ed è sul fronte amministrativo».
I figli entreranno in azienda?
«Abbiamo patti parasociali che limitano l’ingresso delle nuove generazioni, per garantire una governance di tipo manageriale, almeno per i prossimi cinque anni».
Uno studio di Bankitalia rileva che le aziende del Sud crescono meno a causa del familismo e della più bassa istruzione dei manager rispetto a quelli del Centro Nord.
«Noi effettivamente ci siamo posti il problema. Siamo due famiglie, abbiamo tanti figli e tutti devono prendersi il tempo per imparare, scegliere, fortificarsi senza mettere in discussione la stabilità dell’azienda che va difesa nella sua struttura con manager di livello».
Si muove con disinvoltura in un ambito dove si scriveranno le coordinate del tessile del futuro. Come ci si è trovata?
«Potrei dire fiuto e passione. Sono entrata nel board di una organizzazione europea che a livello internazionale detterà le linee guida della regolamentazione del tessile. E poche ore fa Yamamay ha ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro. Cerco nuove sfide per realizzare progetti con ricadute positive».
Napoli non le manca mai?
«So di poter tornare quando voglio, non ho chiuso la mia casa, ma non ci vivrei. Qui non avrei avuto le stesse chance che ho avuto al Nord. Vivo a Busto Arsizio dove tutto è semplice e dove anche i miei genitori restano per alcuni mesi all’anno in una casa superfunzionale. E ho un piccolo appartamento a Milano, dove mi fermo a dormire se ho impegni in città che mi tengono bloccata fino a tardi. A Busto sono a 10 minuti dall’azienda e da Malpensa».
Non tutte le ragazze della sua generazione hanno lasciato Napoli guardando oltre.
«É così. So di essere stata coraggiosissima. Ho deciso di trasferirmi in tre mesi, con i bambini piccoli. Avevano 7, 6 e 2 anni. Ho avuto una visione, in testa avevo un modello di start up. Oggi i ragazzi hanno 26, 25 e 21 anni e sono cresciuti in una dimensione favorevolissima. In una provincia che non ci ha concesso distrazioni ma grandi opportunità, dove ho potuto fare un lavoro meraviglioso che mi ha fatto crescere. Sono stata poi fortunata con le amicizie: avevo 33 anni e mi sono ritrovata al centro di nuovi affetti e nuove relazioni sociali».
Non avrebbe raggiunto questi risultati professionali restando a Napoli?
«Io dico di no. Al di là dei risultati raggiungi in azienda, al di là del mio ruolo in un organismo europeo, sono diventata presidente della sezione tessile dell’ Unione industriali di Varese che riunisce 175 industrie. Sarei riuscita a Napoli? Non credo. Eppure credo che la mia elezione sia un unicum poiché noi siamo più retailer più che industriali. Napoli è una città chiusa, che fatica a mettere a fuoco certe cose. Io guardo avanti, ed ecco la sostenibilità: quest’anno siamo saliti al 53 per cento della produzione mare con filati riciclati, certificati dall’esterno, e ci ispiriamo all’ecodesign che diventerà un tema di compliance. Ci saranno nuovi regolamenti, anche grazie allo studio che stiamo portando avanti con One, che indicheranno non solo l’uso di fibre riciclate ma anche il rispetto di dettami precisi».
Questo studio potrebbe mettere in discussione l’attuale organizzazione del tessile ?
«Penso di sì. Per essere sostenibili, e credibili, dobbiamo sapere e raccontare come vogliamo migliorare la qualità dell’impatto della nostra produzione. Sia l’analisi del plancton che del dna marino evidenzia la presenza in mare di sostanze chimiche a lunga permanenza. Questi dati non sono disponibili, a livello mondiale, sul Mediterraneo e quindi è una scommessa importante quella che abbiamo raccolto. Questa sponsorizzazione è nata di slancio: il progetto dura 5 anni e già fra sei otto mersi determinerà nuove scelte. Questa spedizione ci consentirà di capire quali limiti dobbiamo individuare, diventerà una bussola».
Molti consumatori sono solo concentrati sul costo del prodotto. Come sarà possibile educarli a un consumo responsabile?
«Ad oggi alle dogane non ci sono barriere, intese come controlli sulla merce. E ogni nostro prodotto — sottoposto a test fisici, chimici e tossicologici — sul mercato va in concorrenza con prodotti tossici. Presto ci sarà un passaporto europeo per ogni capo: avrà un Qr code che ne rivela il profilo e la composizione. Un altro tema è quello dello smaltimento: saremo chiamati alla gestione del fine ciclo vita, come accade per le pile, e ci saranno hub tessili di raccolta. Sono tutti passi che arriveranno poi al consumatore finale, che spesso non ha il senso delle cose, ma che sarà chiamato ad avere maggiore consapevolezza».
É ottimista?
«Lo sono. E lo ripeto ai miei figli — Luciano, Francesca e Maria Stella —con convinzione».
"Cambiar vita Mi sono trasferita al Nord con i figli ancora piccoli, sono stata coraggiosissima ma le chance e i risultati che ho raggiunto non li avrei visti al Sud
Le nuove radici Oggi i ragazzi hanno 26, 25 e 21 anni e sono cresciuti in una provincia che non ha concesso distrazioni ma grandi opportunità
"La missione Fino al 23 luglio attraverseremo il Mediterraneo e ci fermeremo presso 25 aree marine protette per realizzare una serie di rilievi sullo stato di salute del mare