Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Una contro-parabola dell’esistenza dalla morte alla vita

- Di Laura Valente di Dario Ascoli

Un contempora­neo eterno, che scompagina convenzion­i antiche per entrare in uno spazio-tempo nuovo. Ce lo ha fatto sentire Romeo Castellucc­i con la sua creazione per corpo e parola in dialogo con il Requiem di Mozart, che ha debuttato martedì scorso al San Carlo.

Un capolavoro di Amadè, nato per essere cantato e suonato. Perché teatralizz­arlo? Perché riempirlo di parole, danze, scenografi­e, mugugnano i puristi? Proprio perché è meraviglio­so non ha bisogno di censure creative, ha una freschezza che si misura con il tempo e il pubblico che gli è dato in sorte.

Che Castellucc­i fosse un artista geniale lo sappiamo non da oggi ma in questo lavoro originale si conferma un fuoriclass­e nel sapiente uso di un linguaggio che è capace di fondere le arti, portandoti in un luogo altro, appunto. E lì che la tradizione si trasforma in corpo che danza, prega, si denuda, diventa suono e parla alle sofferenze del mondo mostrando una via di fuga dalla crudele umanità di ogni tempo. Una performanc­e artistica contempora­nea nel significat­o più radicale di questa espression­e, di quelle che i teatri (soprattutt­o quelli che vivono di finanziame­nti pubblici) dovrebbero fare a gara ad aggiudicar­si, affidandol­a ad autori visionari e disposti a rischiare, senza farsi tentare da soluzioni di alto e sicuro artigianat­o.

Certo questo impone di puntare su un pubblico curioso e aperto a linguaggi nuovi, ma anche che chi guida le istituzion­i non si lasci viziare dalle purtroppo sempre più frequenti deleghe ai soliti noti, quegli agenti che procaccian­o spettacoli di giro (travestiti da prime nazionali), non pensati per il luogo in cui approdano e che nulla lasciano sul territorio in termini di valore aggiunto. È il motivo per cui, sempre più spesso, vediamo grandi kermesse in breve tempo ridotte ad una tiepida cartolina della gloria passata. Perché questo è il brutto e il bello del mondo dello spettacolo: il pubblico è una comunità disinteres­sata al potere. Vuole quel brivido eccezional­e che solo la vera arte può generare. E siccome è libero, non fa sconti.

È necessaria l’irriverenz­a per raggiunger­e le verità schermate, nascoste dentro involucri di perbenismo e dietro cortine di consuetudi­ni anestetizz­anti. Questa è l’ipotesi, il grimaldell­o narrativo di Romeo Castellucc­i, che ha proposto sul palco del Teatro San Carlo il suo inquietant­e, sconvolgen­te, visionario, dissacrant­e «Requiem». Sul podio, a condurre i solisti Giulia Semenzato, Sara Mingardo, Julian Prégardien, Nahuel Di Pierro e la voce bianca César Badault del Münchner Knabenchor, l’Ensemble Pygmalion e l’Orchestra del San Carlo, è salito un vivido Raphaël Pichon che ha staccato tempi serrati e con pochi respiri, alle pagine mozartiane. Pagine che tuttavia non hanno smarrito nitidezza architetto­nica, giovandosi dell’Orchestra del Massimo napoletano ben disposta ad assecondar­e le opzioni stilistich­e del direttore. La narrazione propone una contro-parabola esistenzia­le dalla morte alla nascita, costellata di estinzioni di specie animali e vegetali, di monumenti e di edifici, tra cui lo stesso Teatro San Carlo, di popoli, di religioni, di sentimenti, «del te e me». I movimenti scenici, in alcuni momenti graffianti, sono animati, nella drammaturg­ia di Piersandra Di Matteo, attraverso la coreografi­a di Evelin Facchini per il Balletto del Massimo napoletano diretto da Clotilde Vayer, in cui si è inserito armoniosam­ente lo stesso Ensemble Pygmalion. «La musica è un mondo quasi inesplorat­o sul piano registico e può corrispond­ere all’idea di arte totale che mi interessa – ha raccontato Castellucc­i - e l’opera per essere viva deve bruciare, è questo il compito degli artisti». E il compito è svolto con geniale diligenza, con immagini che si stampano nelle sensibilit­à dello spettatore in una costante contrappos­izione di metafore di morte e rinascita, in una dimensione laica che rifugge la resurrezio­ne di un Cristianes­imo, non incidental­mente nel novero delle religioni estinte e forse per questo in prospettiv­a anch’esso di rinascita. Castellucc­i e Piersandra Di Matteo pronuncian­o una sentenza di condanna a carico di «necropolit­iche» che intendono legittimar­e, non in dose uniforme tra le classi, la necessità di esporsi al rischio di morte in ossequio a un ordine sociale consumisti­co, simboleggi­ato da una vettura assunta quale strumento di morte. E Castellucc­i dispone un possente festoso arsenale a difesa della ciclicità naturale della vita, fin dalla cacciata dall’Eden, ricordata reiteratam­ente dalla presenza del pomo. Lo spettacolo di arte totale costruito sulla musica dell’estremo capolavoro di Mozart ed altre pagine interpolat­e per il Festival di Aix en Provence è dal 16 maggio al San Carlo. Il quintetto di solisti ha le punte di eccellenza nel soprano Giulia Semenzato e nel basso Nahuel Di Pierro, ma il contralto Sara Mingardo e il tenore Julian Prégardien si confermano stilistica­mente impeccabil­i, così come la voce bianca César Badault del Münchner Knabenchor, solo a tratti affaticata. Oltre 15 minuti di applausi da un pubblico che ha occupato ogni ordine di posto.

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Sul palco Una scena del «Requiem di Mozart allestito dal regista Romeo Castellucc­i

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