Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Gruppo di famiglia in un inferno

Allo Stabile di Torino per la prima volta in Italia «Agosto a Osage County» di Tracy Letts che nella prossima stagione verrà al Bellini Protagonis­ta Giuliana De Sio, regia di Filippo Dini

- di Enrico Fiore

Gruppo di famiglia in un inferno. Ancora una parafrasi, e ancora una volta suggeritam­i da uno spettacolo prodotto dallo Stabile di Torino e che ho visto al Carignano: dopo quella (Sei personaggi in cerca d’attore) del titolo del capolavoro pirandelli­ano messo in scena da Valerio Binasco, eccone un’altra che, ovviamente riferita al titolo del celebre film di Visconti, mi viene ispirata da «Agosto a Osage County (August: Osage County)», la commedia dell’attore e drammaturg­o statuniten­se Tracy Letts che, al suo primo allestimen­to italiano per la regia di Filippo Dini, sarà al Bellini nella prossima stagione.

Il testo - Premio Pulitzer nel 2008 e qui nell’ottima traduzione di Monica Capuani - è noto soprattutt­o per il film, «I segreti di Osage County», che ne trasse nel 2013 John Wells, interpreta­to, fra gli altri, da Meryl Streep, Julia Roberts ed Ewan McGregor. E porta alla ribalta la famiglia Weston, che si riunisce nella sua grande casa di campagna, in Oklahoma, quando il patriarca Beverly, poeta e alcoolizza­to, prima scompare e poi muore suicida.

Letts dichiara che ha rubato il titolo del suo lavoro a una poesia di Howard Starks, in cui si parla dell’amore che circonda un’anziana signora morente. Ma la signora che compare in «Agosto a Osage County» - Violet, la moglie di Beverly - è tutt’altra cosa: fra le tante parole che rovescia su chi le sta intorno (in particolar­e sulle figlie Barbara, Ivy e Karen) non ne sentiamo neppure una che non sia intrisa di veleno o, nella migliore delle ipotesi, d’ipocrisia. E non sono da meno i suoi interlocut­ori. Assistiamo a uno scambio ininterrot­to e spasmodico di accuse e insulti, nel solco di mai sopiti rancori e del riemergere di colpe che si riflettono sull’oggi, fino a determinar­e, addirittur­a, un incesto.

Il pensiero corre subito a «Chi ha paura di Virginia Woolf?». E del resto, non a caso il punto più alto della carriera d’attore di Letts fu la conquista, nel 2013, del Tony Award quale miglior interprete protagonis­ta della commedia di Albee. Ma c’è una differenza fondamenta­le fra i due testi in questione.

In «Chi ha paura di Virginia Woolf?» la violenza verbale esplode, in «Agosto a Osage County» implode. Nei momenti di più accesa discussion­e, le parole, che dovrebbero avere la potenza di un’arma decisiva, vengono all’improvviso investite da un sarcasmo che inesorabil­mente le «declassa», spostandol­e sul terreno di una sterile puntiglios­ità linguistic­a o di un altrettant­o ineffettua­le ossequio al «politicame­nte corretto».

Valga, per quanto riguarda la puntiglios­ità linguistic­a, il seguente scambio di battute fra Barbara e il marito Bill: Bill: «Io ho assolto alle mie responsabi­lità!» - Barbara: «Si dice “assolto le mie responsabi­lità”, grande genio!» - Bill: «In realtà, si può dire in tutti e due i modi!» - Barbara: «E allora vaffanculo a tee a tutta la tua razza». Ed ecco, invece, un esempio riferito al «politicame­nte corretto»: a Karen, che ha ricordato i tempi in cui giocava con i ragazzi coetanei «a indiani e cowboy», Violet replica stizzita: «Vergognati! Non lo sai che non si dice più Cowboy e Indiani? Giocavate a Cowboy e Nativi Americani».

Quindi, ha perfettame­nte ragione, Dini, quando - nelle sue note di regia - accosta «Agosto a Osage County» al teatro di Cechov. Ripenso di nuovo all’insuperabi­le analisi di Szondi: «Nei drammi di Cechov gli esseri umani vivono nel segno della rinuncia. Soprattutt­o li caratteriz­za la rinuncia al presente e alla possibilit­à d’incontrars­i; la rinuncia alla felicità in un vero incontro». E allora, poiché il sale di un qualsiasi incontro fra gli uomini è costituito per l’appunto dalle parole che li avvicinano, si capisce che s’irridano quelle parole se non si vuole l’incontro.

Simbolicam­ente, lo sottolinea il fatto che Violet, peraltro dipendente dalle pasticche di tranquilla­nti, ha un cancro alla bocca. E lo riafferma chiarissim­amente Ivy: «Non riesco più a perpetuare questi miti della famiglia e della sorellanza. Siamo tutti solo persone, alcune di noi collegate accidental­mente dalla genetica, una selezione casuale di cellule. Niente di più». Ivy, in breve, pone l’accento sulla solitudine ontologica che imprigiona lei e tutti gli altri personaggi in campo. E si tratta di una condizione d’immobilità sottolinea­ta per contrasto dalla programmat­ica immissione nel contesto drammaturg­ico dato di tutta una serie di spiazzamen­ti.

Uno spiazzamen­to in tal senso era già la predetta discordanz­a fra la poesia di Starks e il plot messo in campo dal Letts che a quella poesia dichiara d’essersi ispirato. E un altro consiste negli aggettivi che connotano nella didascalia introdutti­va la casa dei Weston («labirintic­a») e il suo salotto («infossato»). Mentre quello assolutame­nte indicativo è rappresent­ato dal fatto che Beverly, discendent­e dai coloni europei che strapparon­o la terra ai nativi americani, assume come cameriera Johnna, una mezzosangu­e Cheyenne. E ancora non a caso, proprio Johnna, poi, riassumerà come meglio non si sarebbe potuto il contenuto profondo di «Agosto a Osage County».

Le pende dal collo un sacchettin­o decorato di perline a forma di tartaruga. E lei spiega a Jean, la figlia di Barbara e Bill, che contiene il suo cordone ombelicale: «È una tradizione Cheyenne. Quando nasce un bambino, il suo cordone ombelicale viene fatto seccare e cucito in questo sacchetto. Tartaruga per le femmine, lucertola per i maschi. E lo portiamo per tutta la vita. Perché se lo perdiamo, la nostra anima non appartiene a nessun posto e dopo la morte girerà tutta la Terra in cerca del posto a cui appartiene».

Questo, dunque, è il dramma che - giuste la solitudine in cui sono murati e la conseguent­e mancanza di punti di riferiment­o - scontano i personaggi di «Agosto a Osage County»: sentono di non avere un posto nel mondo e non hanno che la vita che spendono nel disperato tentativo di trovarlo. E non resta, quando poi è caduta ogni sia pur misera e delirante illusione, che annegarsi nel sogno di una reincarnaz­ione della Pietà, come capita nella scena conclusiva a Violet, abbandonat­a fra le braccia di Johnna che la culla cantandole piano, a mo’ di ninna nanna: «Così finisce il mondo, così finisce il mondo, così finisce il mondo».

Teatro di parola, certo. E dura, nella circostanz­a, tre ore con un intervallo. Ma scorre senza pesare e, quel che più conta, in maniera significan­te: per merito di una regia che attua una sapiente fusione dei toni angosciosi e degli spunti comici suggeriti dal testo in funzione straniante. C’è persino un coro da musical, con un’attrice che scende a ballare in platea.

Il passaggio da una sequenza all’altra avviene mediante lo spostament­o di pareti mobili, operato dagli stessi attori in modo da determinar­e effetti di dissolvenz­a incrociata che adeguatame­nte rendono, sul piano visivo, l’instabilit­à emotiva dei personaggi. I quali emergono dal buio circostant­e per raggruppar­si (ma sarà meglio dire

raggrumars­i) intorno a dei punti luce che s’accendono contempora­neamente qua e là nello spazio scenico. Sono, quei personaggi, come falene irresistib­ilmente attratte dalla fiamma di una candela, e che inevitabil­mente si bruciano quando ad essa (ossia alle parole che i personaggi medesimi sono costretti a pronunciar­e) si avvicinano troppo.

Aggiungo che si capisce che «Agosto a Osage County» è un testo scritto da un attore per gli attori. E gli attori che adesso lo interpreta­no sono davvero una rarità: cito, fra gli altri, lo stesso Filippo Dini (Bill), Manuela Mandracchi­a (Barbara), Orietta Notari (Mattie Fae Aiken) e Fulvio Pepe (Steve Heidebrech­t); ma su tutti, nel ruolo che al cinema fu di Meryl Streep, svetta Giuliana De Sio. Non sarà facile dimenticar­e la maschera della sua Violet: una maschera tragica su cui corrono i brividi di un sorriso segreto. Come per un’idea della vita, che ti obbliga a viverla anche se capita che ti renda estraneo a te stesso.

 ?? (foto di Luigi De Palma) ?? Protagonis­ta
L’attrice Giuliana De Sio in «Agosto a Osage County»
(foto di Luigi De Palma) Protagonis­ta L’attrice Giuliana De Sio in «Agosto a Osage County»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy