Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Scegliere con il cuore
I sentimenti influenzano la capacità decisionale, non c’è frattura tra intelligenza emozionale e dimensione cognitiva
La schermitrice Emilia Rossatti sceglie di non approfittare dell’incidente occorso alla sua avversaria che era in vantaggio. Perde tempo e rinuncia ad effettuare altre stoccate, permettendo alla compagna di vincere la gara. Sceglie consapevolmente di sovvertire la logica sottesa ad ogni gara; rinuncia a vincere. Perché «scegliere vuol dire sempre rinunciare», dice Blumenberg. Eppure l’errore che facciamo molto spesso è di cadere nell’infida trappola di pensare di poter scegliere senza alcun danno.
Proprio così; ogni decisione non è mai neutra e senza conseguenze. Scegliamo sempre in base ad altre scelte. Può sembrare tautologico, ma agiamo comunque secondo nostre teorie del mondo, esperienze, preferenze, gusti, relazioni delle quali solo a tratti siamo consapevoli.
È più facile, infatti, pensare che le scelte siano il risultato di opportunità offerte dal contesto. Non c’è dubbio che il figlio di un industriale, di un professionista, di un valente artigiano abbia opportunità concrete e ben definite per costruirsi un progetto di vita; ma proprio queste opportunità potrebbero produrre ai suoi occhi forme tangibili di cecità. Anzi, spesso intervengono au contraire, ordinando priorità e gerarchie molto diverse. E sono queste ultime che fanno quello che saremo, che faremo e come ci vedranno gli altri.
Recuperiamo l’ordine del discorso, allora. In un mondo reale, dove semplificare è diventato un artificio intellettuale troppo diffuso, scegliere dovrebbe tornare ad essere una capacità ideale di muoversi nella complessità, perché tutte le decisioni personali e collettive sono traduzioni del nostro pensiero in ragione del senso che diamo al futuro. Abbiamo imparato dalla storia recente che l’imprevisto accade e accadrà di nuovo, dice Morin. «Pensavamo di vivere di certezze, statistiche, previsioni e dell’idea che tutto fosse stabile, quando già tutto cominciava a entrare in crisi. Non ce ne siamo accorti. Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza, cioè ad avere il coraggio di affrontarla, essere pronti a resistere alle forze negative. La crisi ci sta rendendo più pazzi e più saggi». Ogni scelta che riguardi l’uomo, dunque, non può essere ridotta al solo aspetto razionale. Molti lo fanno, o pensano di farlo. La fedeltà rigida alla ragione limita la nostra visione del mondo semplificandone la complessità, mentre abbiamo bisogno di menti creative, capaci di interpretare e di rischiare.
Le scelte che vorremmo ci dovrebbero rendere più coraggiosi e più aperti; dovrebbero favorire la presenza di una intelligenza emozionale e di una immaginazione creativa che possa esercitare quello che David Weinberger chiama «l’inspiegabilità umana». Un esempio è stato dato dalla scelta della storica fabbrica di Jeans, la Levi Strauss, che si trovò di fronte alla necessità di riconoscere che non fosse etico utilizzare manodopera infantile nelle sue fabbriche sparse per il mondo, ha dovuto affrontare l’interrogativo posto dall’impegno sociale, che oggi chiamiamo sostenibilità, o scegliere di ignorarlo. Una logica lineare avrebbe previsto il licenziamento dei ragazzini. Ha scelto, invece, di pagarli per farli «non» lavorare, ma per farli andare a scuola, riconoscendo quanto quel danaro fosse indispensabile alla sopravvivenza loro e delle loro famiglie. L’intelligenza creativa degli uomini della Levi Strauss ha ragionato in base alla complessità di una catena di scelte che solo apparentemente sono «antieconomiche». Ha deciso di investire sul valore reputazionale del marchio e, attraverso il sostegno dei ragazzi, di investe nel futuro.
Perciò, noi possiamo sempre scegliere tra «solidarietà o barbarie», anche se è probabile che la solidarietà costi di più di quanto non paghi una scelta opportunistica. Tuttavia, la mente dell’«attore cognitivo» costruisce propri orientamenti originali legati al senso che attribuisce alla situazione, spesso implicito ed inconsapevole, in base al quale accetta o respinge le informazioni.. Per questo ogni decisione ha sempre un posto in una catena del pensiero.
La domanda è: «quanto gioca il rapporto tra conoscenza, sentimenti e percezione delle nostre emozioni nelle scelte esistenziali quotidiane?». Ci aiuta a comprenderlo uno dei padri delle neuroscienze, Antonio Damasio. In L’errore di Cartesio racconta il caso clinico della «snervante razionalità» dell’avvocato che non sapeva decidere. Dopo un intervento che aveva provocato un danno ai circuiti neuronali che collegano i lobi prefrontali con l’amigdala, l’avvocato si rivolge al neurologo perché, pur non avendo riscontrato alcun deficit ai test cognitivi, «non era più lui» e «finì disoccupato, la moglie lo lasciò e perse la casa». Damasio gli chiede di fissare un nuovo appuntamento. L’avvocato inizia a scorrere l’agenda e per quasi mezz’ora analizza logicamente i pro ed i contro di ogni possibile scelta: giorno, ora, luogo, condizioni meteorologiche, collocazione rispetto ad altri impegni, senza riuscire a prendere una decisione. Dopo l’intervento, dunque, l’avvocato non percepiva più i «sentimenti dei propri pensieri«.
Rassegniamoci, allora, all’idea che nelle scelte di tutti noi non interviene mai una dimensione cognitiva «pura» perché questa, semplicemente, non esiste. Ogni nostra decisione, anche minima, ha un significato esistenziale, perché tra dimensione cognitiva e intelligenza emozionale non esiste nessuna frattura. Insieme interagiscono producendo il nostro pensiero preferenziale e le nostre azioni. Esiste sempre una dimensione viscerale, dunque, un qualcosa di implicito che ci segnala un disagio o una spinta positiva connesse all’orientamento di azione che riconosca il flusso dei miei sentimenti.
Sapere che i sentimenti e le emozioni sono importanti per guidare i nostri processi decisionali non vuol dire, però, che la ragione sia meno importante dei sentimenti, continua Damasio; al contrario, questi ultimi ci aiutano nel valutare i rischi delle scelte. Perciò, abbiamo bisogno di imparare a dare valore ai loro cardini significativi e, insieme, alla solidità del nostro sapere. Evento raro in un mondo di conoscenze approssimative, dove la mediaticità crea una pressione sociale durissima.
Ci ricorda Heinz von Foerster che se io sono il solo a decidere come agire, allora sono responsabile della mia azione. Visto che la regola del gioco oggi più diffusa è quella di attribuire ad altri la responsabilità delle proprie azioni, le mie argomentazioni, mi rendo conto, esprimono una rivendicazione impopolare». Riconoscere, allora, che «ognuno di noi è artista della propria vita: che lo sappia o no, che lo voglia o no, che gli piaccia o no» (Bauman), prevede di farsi carico fino in fondo della responsabilità delle scelte. Fino al punto di rivederle radicalmente.
Geoffrey Hinton, sceglie di lasciare Google, la sua creatura, per essere libero di affrontare, da competente, i rischi della diffusione di intelligenze artificiali generative. Se l’intelligenza artificiale preoccupa chi l’ha ideata, il nodo è proprio nella dinamica della scelta. In «2001 Odissea nello spazio», film mitico per la mia generazione, chi non ricorda la voce di HAL 9000, il computer apparentemente perfetto, che si degrada lentamente fino a «morire». Si spegne quando incamera nella sua intelligenza artificiale i tratti umani dei sentimenti come l’amore, l’amicizia, l’inganno e la menzogna. I nostri contenuti mentali e semantici sono molto più sofisticati e complessi anche dei software più innovativi.
Grazie alla nostra straordinaria complessità neuronale, immaginiamo, prevediamo, creiamo. Ma soprattutto amiamo, odiamo, proviamo sentimenti e tutto questo agisce nelle nostre scelte. Noi umani viviamo in un mondo reale costituito da più «mondi possibili», ed abbiamo bisogno di imparare a sopravvivere proprio in questa complessità. Le nostre scelte dovrebbero provare ad essere consapevoli, libere e responsabili per non cadere nella banalizzazione così tanto abusata. Se, dunque, siamo in grado di «produrre mondi», il valore «dello scegliere» ci aiuta a riconoscere le ambiguità, gli antagonismi e le contraddizioni, ma soprattutto ci restituisce quei segnali di ricchezza che sono propri della complessità del nostro tempo. Dovremmo ragionare con «mente aperta», dunque, in modo da «aumentare il numero delle nostre scelte», come ci ricorda von Foester, perché in questo è riconoscibile il vero potenziale per imparare a muoverci proprio nell’incertezza.