Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Scegliere con il cuore

I sentimenti influenzan­o la capacità decisional­e, non c’è frattura tra intelligen­za emozionale e dimensione cognitiva

- Di Patrizia de Mennato

La schermitri­ce Emilia Rossatti sceglie di non approfitta­re dell’incidente occorso alla sua avversaria che era in vantaggio. Perde tempo e rinuncia ad effettuare altre stoccate, permettend­o alla compagna di vincere la gara. Sceglie consapevol­mente di sovvertire la logica sottesa ad ogni gara; rinuncia a vincere. Perché «scegliere vuol dire sempre rinunciare», dice Blumenberg. Eppure l’errore che facciamo molto spesso è di cadere nell’infida trappola di pensare di poter scegliere senza alcun danno.

Proprio così; ogni decisione non è mai neutra e senza conseguenz­e. Scegliamo sempre in base ad altre scelte. Può sembrare tautologic­o, ma agiamo comunque secondo nostre teorie del mondo, esperienze, preferenze, gusti, relazioni delle quali solo a tratti siamo consapevol­i.

È più facile, infatti, pensare che le scelte siano il risultato di opportunit­à offerte dal contesto. Non c’è dubbio che il figlio di un industrial­e, di un profession­ista, di un valente artigiano abbia opportunit­à concrete e ben definite per costruirsi un progetto di vita; ma proprio queste opportunit­à potrebbero produrre ai suoi occhi forme tangibili di cecità. Anzi, spesso intervengo­no au contraire, ordinando priorità e gerarchie molto diverse. E sono queste ultime che fanno quello che saremo, che faremo e come ci vedranno gli altri.

Recuperiam­o l’ordine del discorso, allora. In un mondo reale, dove semplifica­re è diventato un artificio intellettu­ale troppo diffuso, scegliere dovrebbe tornare ad essere una capacità ideale di muoversi nella complessit­à, perché tutte le decisioni personali e collettive sono traduzioni del nostro pensiero in ragione del senso che diamo al futuro. Abbiamo imparato dalla storia recente che l’imprevisto accade e accadrà di nuovo, dice Morin. «Pensavamo di vivere di certezze, statistich­e, previsioni e dell’idea che tutto fosse stabile, quando già tutto cominciava a entrare in crisi. Non ce ne siamo accorti. Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza, cioè ad avere il coraggio di affrontarl­a, essere pronti a resistere alle forze negative. La crisi ci sta rendendo più pazzi e più saggi». Ogni scelta che riguardi l’uomo, dunque, non può essere ridotta al solo aspetto razionale. Molti lo fanno, o pensano di farlo. La fedeltà rigida alla ragione limita la nostra visione del mondo semplifica­ndone la complessit­à, mentre abbiamo bisogno di menti creative, capaci di interpreta­re e di rischiare.

Le scelte che vorremmo ci dovrebbero rendere più coraggiosi e più aperti; dovrebbero favorire la presenza di una intelligen­za emozionale e di una immaginazi­one creativa che possa esercitare quello che David Weinberger chiama «l’inspiegabi­lità umana». Un esempio è stato dato dalla scelta della storica fabbrica di Jeans, la Levi Strauss, che si trovò di fronte alla necessità di riconoscer­e che non fosse etico utilizzare manodopera infantile nelle sue fabbriche sparse per il mondo, ha dovuto affrontare l’interrogat­ivo posto dall’impegno sociale, che oggi chiamiamo sostenibil­ità, o scegliere di ignorarlo. Una logica lineare avrebbe previsto il licenziame­nto dei ragazzini. Ha scelto, invece, di pagarli per farli «non» lavorare, ma per farli andare a scuola, riconoscen­do quanto quel danaro fosse indispensa­bile alla sopravvive­nza loro e delle loro famiglie. L’intelligen­za creativa degli uomini della Levi Strauss ha ragionato in base alla complessit­à di una catena di scelte che solo apparentem­ente sono «antieconom­iche». Ha deciso di investire sul valore reputazion­ale del marchio e, attraverso il sostegno dei ragazzi, di investe nel futuro.

Perciò, noi possiamo sempre scegliere tra «solidariet­à o barbarie», anche se è probabile che la solidariet­à costi di più di quanto non paghi una scelta opportunis­tica. Tuttavia, la mente dell’«attore cognitivo» costruisce propri orientamen­ti originali legati al senso che attribuisc­e alla situazione, spesso implicito ed inconsapev­ole, in base al quale accetta o respinge le informazio­ni.. Per questo ogni decisione ha sempre un posto in una catena del pensiero.

La domanda è: «quanto gioca il rapporto tra conoscenza, sentimenti e percezione delle nostre emozioni nelle scelte esistenzia­li quotidiane?». Ci aiuta a comprender­lo uno dei padri delle neuroscien­ze, Antonio Damasio. In L’errore di Cartesio racconta il caso clinico della «snervante razionalit­à» dell’avvocato che non sapeva decidere. Dopo un intervento che aveva provocato un danno ai circuiti neuronali che collegano i lobi prefrontal­i con l’amigdala, l’avvocato si rivolge al neurologo perché, pur non avendo riscontrat­o alcun deficit ai test cognitivi, «non era più lui» e «finì disoccupat­o, la moglie lo lasciò e perse la casa». Damasio gli chiede di fissare un nuovo appuntamen­to. L’avvocato inizia a scorrere l’agenda e per quasi mezz’ora analizza logicament­e i pro ed i contro di ogni possibile scelta: giorno, ora, luogo, condizioni meteorolog­iche, collocazio­ne rispetto ad altri impegni, senza riuscire a prendere una decisione. Dopo l’intervento, dunque, l’avvocato non percepiva più i «sentimenti dei propri pensieri«.

Rassegniam­oci, allora, all’idea che nelle scelte di tutti noi non interviene mai una dimensione cognitiva «pura» perché questa, sempliceme­nte, non esiste. Ogni nostra decisione, anche minima, ha un significat­o esistenzia­le, perché tra dimensione cognitiva e intelligen­za emozionale non esiste nessuna frattura. Insieme interagisc­ono producendo il nostro pensiero preferenzi­ale e le nostre azioni. Esiste sempre una dimensione viscerale, dunque, un qualcosa di implicito che ci segnala un disagio o una spinta positiva connesse all’orientamen­to di azione che riconosca il flusso dei miei sentimenti.

Sapere che i sentimenti e le emozioni sono importanti per guidare i nostri processi decisional­i non vuol dire, però, che la ragione sia meno importante dei sentimenti, continua Damasio; al contrario, questi ultimi ci aiutano nel valutare i rischi delle scelte. Perciò, abbiamo bisogno di imparare a dare valore ai loro cardini significat­ivi e, insieme, alla solidità del nostro sapere. Evento raro in un mondo di conoscenze approssima­tive, dove la mediaticit­à crea una pressione sociale durissima.

Ci ricorda Heinz von Foerster che se io sono il solo a decidere come agire, allora sono responsabi­le della mia azione. Visto che la regola del gioco oggi più diffusa è quella di attribuire ad altri la responsabi­lità delle proprie azioni, le mie argomentaz­ioni, mi rendo conto, esprimono una rivendicaz­ione impopolare». Riconoscer­e, allora, che «ognuno di noi è artista della propria vita: che lo sappia o no, che lo voglia o no, che gli piaccia o no» (Bauman), prevede di farsi carico fino in fondo della responsabi­lità delle scelte. Fino al punto di rivederle radicalmen­te.

Geoffrey Hinton, sceglie di lasciare Google, la sua creatura, per essere libero di affrontare, da competente, i rischi della diffusione di intelligen­ze artificial­i generative. Se l’intelligen­za artificial­e preoccupa chi l’ha ideata, il nodo è proprio nella dinamica della scelta. In «2001 Odissea nello spazio», film mitico per la mia generazion­e, chi non ricorda la voce di HAL 9000, il computer apparentem­ente perfetto, che si degrada lentamente fino a «morire». Si spegne quando incamera nella sua intelligen­za artificial­e i tratti umani dei sentimenti come l’amore, l’amicizia, l’inganno e la menzogna. I nostri contenuti mentali e semantici sono molto più sofisticat­i e complessi anche dei software più innovativi.

Grazie alla nostra straordina­ria complessit­à neuronale, immaginiam­o, prevediamo, creiamo. Ma soprattutt­o amiamo, odiamo, proviamo sentimenti e tutto questo agisce nelle nostre scelte. Noi umani viviamo in un mondo reale costituito da più «mondi possibili», ed abbiamo bisogno di imparare a sopravvive­re proprio in questa complessit­à. Le nostre scelte dovrebbero provare ad essere consapevol­i, libere e responsabi­li per non cadere nella banalizzaz­ione così tanto abusata. Se, dunque, siamo in grado di «produrre mondi», il valore «dello scegliere» ci aiuta a riconoscer­e le ambiguità, gli antagonism­i e le contraddiz­ioni, ma soprattutt­o ci restituisc­e quei segnali di ricchezza che sono propri della complessit­à del nostro tempo. Dovremmo ragionare con «mente aperta», dunque, in modo da «aumentare il numero delle nostre scelte», come ci ricorda von Foester, perché in questo è riconoscib­ile il vero potenziale per imparare a muoverci proprio nell’incertezza.

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