Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Barnet e le (tante) affinità tra Napoli e Cuba
Le affinità tra Napoli e Cuba, vanno ben oltre la banalità dei luoghi comuni e l’occasione per una riflessione più profonda sugli elementi storici e antropologici, che accomunano queste due culture e le rendono uniche, ci viene offerta dalla presenza a Napoli, domani (ore 18, ScottoJonno, Galleria Principe), di Miguel Barnet, una figura di primo piano del sapere contemporaneo cubano. Poeta, narratore, saggista, etnologo, critico d’arte e musicale ha dedicato la sua vita all’analisi della cultura afrocubana che ha sempre considerato degna di essere studiata e rivalutata come testimonianza della presenza nella cultura cubana di un’eredità africana talmente viva da essere considerata come una componente di primo piano della cubanidad. Sin da giovane Miguel Barnet è rimasto affascinato dalla cultura africana, che approdò sulle spiagge delle Antille con la deportazione degli schiavi provenienti dai popoli subsahariani; dalla significativa presenza della santeria, una miscela sincretica di culti indigeni, africani ed elementi della religione cattolica; dai ritmi e dai balli, che caratterizzano la Rumba cubana. Un’influenza che ha caratterizzato la sua intera opera artistica. I suoi studi antropologici evidenziano una cultura, popolare e contadina che trova nell’adorazione della Terra, come madre di tutto, e nella centralità delle divinità femminili, le sue radici più profonde, in una spiritualità che caratterizza tutti i Sud, intesi non come concetto geografico ma politicoeconomico. Ed è proprio dal confronto con questa forte identità antropologica e culturale, che presenta molti caratteri comuni con quella napoletana, che vanno individuate le origini profonde dell’intenso legame che lega Napoli e Cuba. Un legame che va oltre la somma dei singoli elementi fino a diventare essenza. Due identità popolari, in perenne movimento, fortemente ancorate al passato ma nel contempo capaci di rinnovare le loro tradizioni, in un rapporto mai interrotto con il remoto, inteso non come nostalgia dei valori ancestrali né come voglia di tornare ad un Arcadia mai esistita, ma come feconda rielaborazione di tradizioni, riti e credenze. Napoli e Cuba mostrano le loro più apparenti affinità, in alcune espressioni artistiche, e più volte Giovanni Imparato, attento conoscitore delle due culture, mi ha portato come esempio le affinità tra la tamurriata vesuviana dedicata alla Madonna dell’Arco e lo stile popolare della Rumba Guagancò. Manifestazioni esteriori comuni che trovano le loro radici antropologiche nell’avere saputo e voluto preservare i culti e i riti pagani dedicati alle divinità femminili, trasformatisi poi, nel nostro meridione, nei culti delle Madonne; nella capacità che ha avuto Napoli — che ancora conserva il culto ancestrale di Parthenope che morendo diventa il corpo e la terra di Napoli — di custodire, sin dai tempi del mago Virgilio, i culti esoterici, mantenendo così un forte legame con i defunti e con i santi, al pari di quanto avviene a Cuba con la santeria; In entrambe le culture il trascendente, la morte, il fato sono fortemente presenti. E se l’aver saputo opporre una così tenace difesa della propria identità - che, nei secoli è stata forma di resistenza contro i dominatori di turno – viene vista, da alcuni osservatori, come una delle cause dell’ arretratezza economica in un mondo che basa il suo pensiero sul denaro e l’accumulo della ricchezza a danno del pianeta, al contrario va sottolineato come l’energia vitale e la creatività che sprigionano i due popoli, nascono dal permanere di una componente irrazionale che, lungi dall’essere chiusura e immobilismo, è pensiero moderno, continua ricerca della sostanza e della spiritualità della realtà anche attraverso quegli elementi femminili dell’agire e del pensiero per troppo tempo repressi.