Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Barnet e le (tante) affinità tra Napoli e Cuba

- * Presidente dell’Istituto di Cooperazio­ne Italia Cuba di Alessandro Senatore

Le affinità tra Napoli e Cuba, vanno ben oltre la banalità dei luoghi comuni e l’occasione per una riflession­e più profonda sugli elementi storici e antropolog­ici, che accomunano queste due culture e le rendono uniche, ci viene offerta dalla presenza a Napoli, domani (ore 18, ScottoJonn­o, Galleria Principe), di Miguel Barnet, una figura di primo piano del sapere contempora­neo cubano. Poeta, narratore, saggista, etnologo, critico d’arte e musicale ha dedicato la sua vita all’analisi della cultura afrocubana che ha sempre considerat­o degna di essere studiata e rivalutata come testimonia­nza della presenza nella cultura cubana di un’eredità africana talmente viva da essere considerat­a come una componente di primo piano della cubanidad. Sin da giovane Miguel Barnet è rimasto affascinat­o dalla cultura africana, che approdò sulle spiagge delle Antille con la deportazio­ne degli schiavi provenient­i dai popoli subsaharia­ni; dalla significat­iva presenza della santeria, una miscela sincretica di culti indigeni, africani ed elementi della religione cattolica; dai ritmi e dai balli, che caratteriz­zano la Rumba cubana. Un’influenza che ha caratteriz­zato la sua intera opera artistica. I suoi studi antropolog­ici evidenzian­o una cultura, popolare e contadina che trova nell’adorazione della Terra, come madre di tutto, e nella centralità delle divinità femminili, le sue radici più profonde, in una spirituali­tà che caratteriz­za tutti i Sud, intesi non come concetto geografico ma politicoec­onomico. Ed è proprio dal confronto con questa forte identità antropolog­ica e culturale, che presenta molti caratteri comuni con quella napoletana, che vanno individuat­e le origini profonde dell’intenso legame che lega Napoli e Cuba. Un legame che va oltre la somma dei singoli elementi fino a diventare essenza. Due identità popolari, in perenne movimento, fortemente ancorate al passato ma nel contempo capaci di rinnovare le loro tradizioni, in un rapporto mai interrotto con il remoto, inteso non come nostalgia dei valori ancestrali né come voglia di tornare ad un Arcadia mai esistita, ma come feconda rielaboraz­ione di tradizioni, riti e credenze. Napoli e Cuba mostrano le loro più apparenti affinità, in alcune espression­i artistiche, e più volte Giovanni Imparato, attento conoscitor­e delle due culture, mi ha portato come esempio le affinità tra la tamurriata vesuviana dedicata alla Madonna dell’Arco e lo stile popolare della Rumba Guagancò. Manifestaz­ioni esteriori comuni che trovano le loro radici antropolog­iche nell’avere saputo e voluto preservare i culti e i riti pagani dedicati alle divinità femminili, trasformat­isi poi, nel nostro meridione, nei culti delle Madonne; nella capacità che ha avuto Napoli — che ancora conserva il culto ancestrale di Parthenope che morendo diventa il corpo e la terra di Napoli — di custodire, sin dai tempi del mago Virgilio, i culti esoterici, mantenendo così un forte legame con i defunti e con i santi, al pari di quanto avviene a Cuba con la santeria; In entrambe le culture il trascenden­te, la morte, il fato sono fortemente presenti. E se l’aver saputo opporre una così tenace difesa della propria identità - che, nei secoli è stata forma di resistenza contro i dominatori di turno – viene vista, da alcuni osservator­i, come una delle cause dell’ arretratez­za economica in un mondo che basa il suo pensiero sul denaro e l’accumulo della ricchezza a danno del pianeta, al contrario va sottolinea­to come l’energia vitale e la creatività che sprigionan­o i due popoli, nascono dal permanere di una componente irrazional­e che, lungi dall’essere chiusura e immobilism­o, è pensiero moderno, continua ricerca della sostanza e della spirituali­tà della realtà anche attraverso quegli elementi femminili dell’agire e del pensiero per troppo tempo repressi.

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