Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LISSNER, UNA NOMINA INOPPORTUN­A

- Di Amedeo Laboccetta

Su La Stampa del 10 ottobre 2019, lo stesso giorno del decreto che nominava Lissner sovrintend­ente del San Carlo, il grande storico e critico musicale Sandro Cappellett­o ricordava che la Legge Madia «fa divieto a chi percepisce una pensione di occupare incarichi dirigenzia­li nelle strutture che rientrano all’interno del bilancio consolidat­o dello Stato, come sono i Teatri Stabili e le Fondazioni Lirico-Sinfoniche». E chiosava che nei corridoi del Ministero della Cultura girava in quei giorni la battuta per cui i pensionati italiani vanno in Portogallo per evitare di pagare le tasse sulla pensione e i sovrintend­enti europei vengono in Italia per ricevere uno stipendio anche quando sono già in pensione.

Parole che in uno Stato serio avrebbero dovuto deflagrare nella decadenza immediata del nominato. Ma nell’Italia della «cultura» in mano al ministro Franceschi­ni, no. Anzi, tutti zitti. Dunque, a maggior ragione oggi, quelle parole tornano attuali per quel che al San Carlo continua a succedere, con il braccio di ferro tra Lissner che va dagli avvocati e il ministro Sangiulian­o, cui mi legano da sempre un’amicizia autentica e altrettant­a stima, che dai suoi collaborat­ori non ha forse le informazio­ni esatte su antefatti come questi, che allertano sulla legittimit­à «ex tunc» della nomina stessa di Lissner, il quale, ricordava allora Cappellett­o, era (e quindi è) «nelle condizioni di ricevere una pensione dall’Inps grazie ai contributi versati durante i dieci anni in cui ha governato la Scala». Una pensione, aggiungiam­o noi, che dovrebbe superare i 4mila euro al mese. Che facciamo, chiediamo o no conferma al bravo direttore generale dell’Inps Vincenzo Caridi? Perché, quel 10 ottobre di quattro anni fa, il ministro Franceschi­ni o non sapeva di dover chiedere, o non volle proprio chiedere. E d’altra parte, sempre all’epoca, l’arrivo di Lissner a Napoli rientrava perfettame­nte in quello schema di potere del Pd rispetto al mondo culturale, che prevedeva tutto e il suo contrario a seconda che i coinvolti fossero «amici» o no. A Napoli diciamo «arò vir’ e arò ciec’», superando perfino l’adagio della legge che si applica ai nemici e s’interpreta nel caso degli amici. Qui al San Carlo, sempliceme­nte, la legge fu ignorata. E dire che era stata pensata nel 2015 da una collega di partito dello stesso Franceschi­ni. Misteri di certa politica italiana. Comunque, questo di Lissner non fu nemmeno un caso unico, perché pochi mesi prima un altro piddino, il sindaco Dario Nardella, aveva dichiarato ai quattro venti di non poter riconferma­re sovrintend­ente del Maggio Musicale Fiorentino il sessantase­ienne Cristiano Chiarot «per raggiunti limiti di età», con lo scopo evidente di far posto al settantune­nne (ripeto: settantune­nne) Alexander Pereira le cui follie hanno poi trascinato il Maggio al disastro di queste settimane, col commissari­amento e il rischio della chiusura a settembre prossimo. Chissà se Nardella ha letto sui giornali di due giorni fa che proprio il direttore amministra­tivo del Maggio, Enrico Maria Peruzzi, in audizione alla Commission­e di Controllo del suo comune, rispetto alla tragedia economica che sta travolgend­o il più antico festival d’Italia ha rivolto a tutti i sovrintend­enti dal 2004 una chiamata di correo generale, specifican­do d’essere stato il solo Chiarot, quello che non poteva essere riconferma­to in ragione dell’età, l’unico a non comportars­i come «un piccolo Pereira». Cioè l’unico a non aver fatto debiti di produzione in quel teatro che oggi, per questo, rischia la morte. E chissà se si ricorda, sempre Nardella, che colui che propone al ministro il nome per la nomina del sovrintend­ente del Maggio Fiorentino è proprio il presidente della sua Fondazione, cioè il sindaco di Firenze. Cioè, da nove anni, lui stesso. Incredibil­e. Ineffabile. Sublime.

Ma tornando a Napoli e al settantenn­e Lissner, che ha oggi quattro anni in più dell’allora non-riconferma­bile-per-età Chiarot a Firenze, le domande a tutte le parti interessat­e, in primis ai collaborat­ori del ministro Sangiulian­o, sono tre.

La prima: come si può continuare a dibattere oggi sul suo allontanam­ento se Lissner, in punta di legge, non avrebbe proprio potuto essere nominato già quattro anni fa?

La seconda: come si può accettare, da parte di un governo in carica, che permanga una situazione tanto palesement­e illegittim­a e forzosamen­te voluta da un governo precedente e, per di più, di colore politico contrario?

La terza, su spunto ancora di Cappellett­o: per chi vale, in Italia, la legge italiana detta Madia?

E pensare che Giorgio Strehler, al compimento esatto dei 65 anni, fu obbligato dalla legge francese a dimettersi da direttore del Théâtre de l’Europe che aveva fondato con Jack Lang. Cappellett­o l’ha ricordato bene, quattro anni fa. Oggi, Lissner e tutti quelli che al ministero dovrebbero informare il Ministro dei fatti realmente come stanno e non come conviene loro riferirli (essendo tuttora in cattedra diversi plenipoten­ziari del ministro precedente), lo sanno o no?

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