Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Finalmente Rau
L’alfiere del teatro politico per la prima volta a Napoli in un progetto di Roberto Andò: due spettacoli (a febbraio e aprile) al Mercadante e il coinvolgimento in «Arrevuoto»
Finalmente. Da anni insistevo sulla necessità di colmare la lacuna costituita dal fatto che a Napoli non era mai arrivato uno spettacolo di Milo Rau. E finalmente, appunto, Roberto Andò, direttore del Teatro di Napoli, ha raccolto il mio appello, varando un vero e proprio progetto centrato sul celebre regista svizzero.
Milo Rau, come ormai si sa, sarà presente in stagione con due spettacoli, entrambi in programma al Mercadante rispettivamente dal 2 al 4 febbraio e dal 19 al 20 aprile: «The Interrogation», dello stesso Rau e di Édouard Louis (l’autore del pamphlet, «Chi ha ucciso mio padre», che mette sotto accusa nientemeno che, fra gli altri, Hollande, Sarkozy, Macron e Chirac), e «The Repetition». Il primo, fondato sui temi del dubbio e del fallimento, è nuovo, mai messo in scena prima, il secondo è l’autentica bandiera del teatro di Rau. Ma, ben al di là di questi spettacoli, conta il progetto di cui dicevo. Sentiamo Andò: «Vorrei coinvolgere Rau nell’avventura di “Arrevuoto”. “Arrevuoto” è un contenitore, che nasce dall’idea di lavorare sulla realtà di Scampia con dei non professionisti, i ragazzi del quartiere. Ma seguito da Roberta Carlotto, Goffredo Fofi, Marco Martinelli e Maurizio Braucci - nel tempo ha finito per puntare tutto sul processo, trascurando il risultato. Quasi che il viaggio fosse più importante della meta. Ora, io vorrei far arrivare a Scampia qualcuno in grado di darci un risultato, cioè uno spettacolo che resti».
Rau, incontratosi con Andò, ha dato il suo assenso, e adesso non resta che organizzare la sua venuta a Napoli e in particolare a Scampia, per fargli conoscere gli ambienti in cui ideare e realizzare il suo spettacolo. Ma chi è Milo Rau? È l’alfiere indiscusso del teatro politico. E qui di seguito ne fornisco un ritratto che spero abbastanza esauriente.
Milo Rau è colui che nel 2007 diede alla casa di produzione che aveva appena fondato il nome, davvero tutto un programma, di «International Institute of Political Murder (Istituto Internazionale di Omicidio Politico)». Perché il quarantaseienne regista di Berna, ormai osannato dappertutto, è sul serio uno che non le manda a dire. Si reca nelle zone di conflitto con la stessa determinazione di un reporter di guerra. E in proposito basterebbe ricordare come nel 2013 il suo spettajihad colo «I processi di Mosca», che ripercorreva, giusto, la storia del processo intentato a tre membri del celebre gruppo punk russo Pussy Riot, sia stato brutalmente interrotto dalla polizia.
Non meno impavidi, tanto per fare altri due esempi, furono del resto gli «omicidi» commessi da Rau con «Gli ultimi giorni dei Ceausescu», che metteva alla gogna l’ex dittatore rumeno, e «Hate Radio (Radio Odio)», in cui attaccava senz’alcuna remora i responsabili del genocidio ruandese prendendo spunto dall’emittente razzista, realmente esistita a Kigali negli anni ‘90, che soffiava sul fuoco della rivalità fra Tutsi e Hutu. E per restare all’Africa, non si può dimenticare che nel 2015 Milo Rau riunì a Bukavu, con lo spettacolo «Il tribunale sul Congo», ben sessanta testimoni ed esperti della guerra civile che da oltre vent’anni aveva trasformato in un inferno l’est del paese.
All’Europa, invece, il regista bernese ha dedicato una trilogia iniziata nel 2014 con «The Civil Wars (Le guerre civili)», proseguita l’anno dopo con «The Dark Ages (Le epoche buie)» e conclusa nel 2017 con «Empire (Impero)». In «The Civil Wars» si racconta la storia di un giovane belga partito per partecipare alla in Siria e quella del padre che tenta di rimpatriarlo, in «The Dark Ages» si affronta il problema dello smembramento dell’ex Jugoslavia e in «Empire» (il titolo, si capisce, è riferito, sarcasticamente, per l’appunto all’Europa) prendono corpo le storie di tragedie artistiche e reali, di torture, di fughe, di sofferenze, di morti e di resurrezioni che disegnano il quadro in cui si riflette un continente sospeso tra un presente confuso e un futuro incerto.
Un simile tipo di teatro è lo specchio fedele del decalogomanifesto che Milo Rau ha stilato per il teatro cittadino che dirige a Gent, in Belgio: un decalogo /manifesto che richiama lo spirito del «Dogma 95» di Lars von Trier e che chiunque lavori in quel teatro è tenuto a sottoscrivere. In particolare, si rende ossequio ai seguenti tre dei suoi «comandamenti», l’Uno, il Sette e il Nove: «Non si tratta più soltanto di ritrarre il mondo. Si tratta di cambiarlo. L’obiettivo non è quello di rappresentare il reale, ma di rendere reale la rappresentazione stessa»; «Almeno due attori sul palco non devono essere attori professionisti»; «Almeno una produzione per stagione deve essere ripetuta o eseguita in una zona di conflitto o di guerra, senza alcuna infrastruttura culturale».
Ma vengo, adesso, a «The Repetition», lo spettacolo-bandiera che Rau presenterà al Mercadante. Giusto il sottotitolo («Histoire(s) du Théâtre (I)»), è il primo capitolo di una parafrasi delle godardiane «Histoire(s) du Cinéma». E - con l’intento di riflettere sull’essenza, la vicenda plurisecolare e il futuro del teatro - trae spunto da quanto accadde nell’aprile del 2012 a Liegi: una notte, dopo aver parlato per qualche tempo con un gruppo di ragazzi davanti a un bar gay, un uomo di origine magrebina, Ihsane Jarfi, è pestato a sangue e rinchiuso nel bagagliaio di una Polo grigia; e due settimane più tardi il suo cadavere nudo viene rinvenuto al limitare di un bosco. L’uomo è stato torturato per ore e assassinato con ferocia inaudita.
Ebbene, Rau non si sofferma soltanto sulle origini e le motivazioni dell’assassinio, inquadrabili nella violenza e nella disperazione a cui il declino economico ha condotto Liegi, ma, anche e soprattutto, giusto sui suoi particolari e sulle modalità della sua esecuzione. Perché - in linea con i tre «comandamenti» del proprio decalogo/manifesto citati lo scopo fondamentale dell’autore e regista svizzero è quello di dar forma al «tragico» come rappresentazione allegorica della criminologia.
Riassumendo, si potrebbe dire che questo spettacolo si schiera contro Euripide, che non ci fa vedere l’uccisione dei figli da parte di Medea, e a favore di Seneca, che invece ce la mostra in tutta la sua crudezza. E possiamo assumere proprio il personaggio di Medea nelle versioni opposte che ne diedero Euripide e Seneca come cartina di tornasole dell’assassinio di Ihsane Jarfi quale lo mette in scena Rau: rispetto a quella di Euripide - fatta dell’intreccio (se non dell’equilibrio) fra intelligenza, sentimento, ragione, passione, riflessione e desiderio - la Medea di Seneca è odio e passione allo stato puro, rappresentati nel loro parossistico scatenarsi e nella completa, e inesorabile, assenza (o impotenza) della ragione.
Non a caso, d’altronde, Artaud riconobbe per l’appunto in Seneca il più deciso e limpido antesignano del «teatro della crudeltà». E radicale, di conseguenza, appare il dispiegarsi senza freno, nello spettacolo di Milo Rau, dell’emozione legata, insieme, al terrore indotto dalla ferocia del delitto qui ricostituito e al senso di perdita che quel delitto suscita.
Le due dimensioni - del «gelo» determinato dall’assenza della ragione e del «fuoco» innescato dall’odio parossistico vengono rese attraverso l’interazione fra uno schermo e il palcoscenico, ossia fra l’immagine eil corpo. Ma, nella circostanza, davvero non c’imbattiamo nelle proiezioni che ormai dilagano a teatro come semplici orpelli. E faccio al riguardo un solo esempio. Sullo schermo vediamo la madre di Ihsane Jarfi e il suo uomo a letto, sul palcoscenico li vediamo mentre si spogliano; vediamo, cioè, sullo schermo il dopo e sul palcoscenico il prima. Finché lo schermo e il palcoscenico giungono a coincidere, sia sullo schermo che sul palcoscenico vediamo la madre di Ihsane Jarfi e il suo uomo mentre amoreggiano. Il prima e il dopo diventano la stessa cosa, il tempo si annulla.
In conclusione, è l’artificio, ossia il teatro in quanto rappresentazione, che Milo Rau batte in breccia, senza sosta e con determinazione e lucidità assolute. Infatti, vediamo sul palcoscenico attori che non smettono mai, neppure per un momento, di porsi come persone.
"Adesso non resta che organizzare la sua venuta a Napoli e in particolare a Scampia, per fargli conoscere gli ambienti in cui ideare e realizzare il suo spettacolo