Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Il 3 maggio del 1945 a Fiume mio padre finì in una foiba E da allora è “irreperibile”»
Francesco Avallone aveva solo tre anni e oggi racconta commosso: «Lo buttarono forse vivo, non sappiamo ancora in quale crepaccio»
Aveva solo tre anni Francesco Avallone, salernitano, ex direttore di banca, quando i partigiani del maresciallo Tito fecero irruzione nella casa di Fiume, in cui viveva con i genitori e i due fratelli più grandi, Pasquale di 10 anni e Concetta di 7, e gli portarono via papà Raffaele, guardia scelta in servizio in questura. Era il 3 maggio del 1945, una data funesta per i fiumani che passavano da un totalitarismo all’altro. La guerra era finita ma cominciava la dittatura comunista jugoslava che avrebbe compiuto sequestri di persone, deportazioni ed eliminazioni nell’ambito di un’operazione di vera e propria epurazione politica.
«Quel giorno, ormai la storia lo ha accertato, fu fatta fuori la bellezza di diecimila italiani, la maggior parte funzionari dello Stato. È un dolore troppo grande, che non passa mai, che non passerà mai, anzi che si rinnova ancora di più proprio nel Giorno istituito per ricordare la tragedia delle foibe», dice Avallone che anche ieri, come ogni anno, incurante dei suoi 81 e più anni, ha preso parte a
Roma alle celebrazioni per il Giorno del Ricordo alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
«Mio padre - inizia a raccontare - lavorava in questura a Salerno e venne allontanato in quanto considerato non in linea con il regime fascista». La sua storia è fortemente connessa a quella del “Giusto tra le nazioni”, il commissario Giovanni Palatucci, ultimo questomuore re di Fiume, beatificato dalla Chiesa cattolica e proclamato nel 2004 ‘Servo di Dio’.
«A Fiume - riprende Avallone - mio padre aveva l’incarico di far stampare i passaporti per gli apolidi ebrei che arrivavano dalla Germania per raggiungere l’Italia. Con Palatucci, suo superiore, riuscì nell’impresa di salvare migliaia di ebrei da morte certa perché destinati ai campi di sterminio nazisti.
Francesco Avallone, 81 anni, ieri al Giorno del Ricordo , a Roma, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella
ordinare iniziative per salvare ebrei».
L’ex dirigente del Credito Italiano si ferma un attimo. La sua voce si increspa, la commozione prende il sopravvento: «Io in realtà quando ho preso consapevolezza di quanto era accaduto a mio padre avevo deciso di non parlarne, non ne sentivo l’esigenza, per me era un periodo di vita da chiudere. Poi intorno ai 60 anni ho accettato l’invito di mio fratello, che era vicepresidente del Cai di Salerno, a partecipare ad una manifestazione a Trieste di gemellaggio con Salerno ed è stato naturale andare a Fiume sui luoghi della nostra infanzia. Vidi allora mio fratello scoppiare in un pianto a dirotto, ci abbracciammo e decidemmo che avremmo tenuto in vita il ricordo di nostro padre».
Il racconto riprende dal nefasto 13 settembre 1944 quando Palatucci viene arrestato dal famigerato tenente colonnello Kappler delle SS e tradotto nel carcere di Trieste, da cui, il 22 ottobre, è trasferito nel campo di sterminio di Dachau, dove
Contestualmente anche la famiglia fu costretta a lasciare casa: «Prendemmo uno dei treni della Croce Rossa, destinazione Salerno, portandoci in una valigia il nulla che ci era rimasto, i nostri pochi averi». Gli Avallone erano tra i 350 mila italiani mandati via, «venimmo etichettati “profughi istriani, dalmati, giuliani”, accolti come “relitti scomodi”. Diventammo italiani dimenticati, anzi cancellati».
Oggi Avallone vive nel ricordo del padre e raccoglie documenti per correggere il corso della storia: «Gli italiani uccisi dai partigiani di Tito - rivela furono ben 20 mila, ce n’è testimonianza alla foiba di Bassovizza in un librone con tutti i nominativi. Anche quello di Raffaele Avallone».
Salerno ha dimenticato il suo poliziotto buono, non c’è una strada a lui dedicata. Ma Francesco non se ne fa un cruccio: «Nel 2021 Vietri sul Mare ha scoperto una targa per mio padre. E tanto mi basta».
"Gli ebrei salvati Papà lavorava con il questore Giovanni Palatucci e insieme salvarono da morte sicura migliaia di ebrei
"La famiglia esule Con mamma e i miei fratelli fummo cacciati da casa, sul treno della Croce Rossa arrivammo a Salerno da profughi