Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Sensualità e libertà non sono “colpe”»
brutali fatti di cronaca, i genitori degli assassini dicono che non si erano accorti di nulla. Alla base di tutto c’è un’educazione sentimentale malata e l’anaffettività. Serve invece una “maternità ad alto contatto”: l’ho imparato con mia figlia che ora ha nove anni. Ripartiamo dalle madri e dai padri».
Lo spettacolo segna anche il suo esordio alla regia?
«Sì, la proposta di interpretare La lupa mi venne dal direttore dello Stabile di Catania Luca De Fusco, ma mancava il regista. Emma Dante mi incoraggiò e mi disse: falla tu. All’inizio non volevo, poi decisi di misurarmi con questa prova. E sono felice di aver avuto questo coraggio che offre oggi una Lupa attuale. Non è uno spettacolo verista, il personaggio è un espediente per parlare di femminilità, di sensualità, di donne con la D maiuscola e nel finale anche di femminicidio».
Dopo cosa farà?
«Due film che non vedo l’ora di girare: una commedia scritta con grande ironia dai Sansoni che sono due Youtuber molto bravi e un film su Rosa Balistreri — la cantatrice che tra i ‘70 e i ‘90 ha saputo meglio raccontare la Sicilia — con la regia di Paolo Licata».
E a Napoli, sempre più grande set?
«Per ora niente: è una città specchio della mia Catania, i vulcani danno un’energia molto speciale. Sono stata conquistata da questa specularità subito, da quando la frequentavo per amore».
Dica? Un artista?
«No, un medico e io ero giovanissima. Poi ho girato diversi film da Sulla mia pelle a Nato a Casal di Principe».
Oggi vincono le serie. Cosa ne pensa?
«Offrono tante letture del territorio, qualche volta però assecondando una moda. Ora è il momento “carcerario” che onestamente non mi entusiasma molto come non ne posso più della rappresentazione della mafia in Sicilia».
L’aspetto più convincente di «La sorella migliore», in scena fino a domenica al Teatro Diana, è sicuramente la qualità del testo di Filippo Gili. Che, disegnando un’urticante dimensione familiare contemporanea, riesce a miscelare in un’unica soluzione l’allungarsi di ombre personali, rapporti parentali irrisolti e cinici, ma anche affetti sinceri contrapposti ad altri decisamente più giocati sul piano della competizione personale. Un vaso di pandora da cui continuano a uscire sorprese, talvolta sinceramente imprevedibili, alcune espresse con disarmante chiarezza altre con intriganti e oscuri sottintesi. Il risultato è una pièce di sapore europeo, soprattutto inglese, in cui però la prova degli attori, a partire da Vanessa Scalera (foto Siniscalco) nel ruolo della sorella grande, avvocato che aveva difeso e difende il fratello (Giovanni Anzaldo) agli arresti domiciliari per un omicidio stradale colposo, scivola qua e là in un registro da appassionata fiction Tv, con toni spesso sopra le righe. L’attrice salentina, ma qui con calcato accento romano, appare stentorea sin dalla sua prima apparizione in scena, senza concedere necessarie variazioni cromatiche, per scelta evidentemente della regia di Francesco Frangipane. Mentre più convincente, nel suo mantenersi su registri meno enfatici, appare Daniela Marra, nel ruolo della più affettuosa sorella minore, in grado di mostrare sin da subito la sua disarmante sincerità. Decisamente di mestiere, infine, la piccola parte affidata a Michela Martini (la madre), al centro degli strali incrociati dei suoi figli, lanciati nel corso di un tempestoso e risolutivo pranzo domenicale.