Corriere del Mezzogiorno (Campania)

STORIA DI UN ANGELO ANTI-EROE CON LE SCARPE DA GINNASTICA

- Di Rosa Papa

Il suo nome è Fabio, lo incontro ad un evento dove viene invitato a parlare della sua esperienza come operatore di una Ong addetto al salvataggi­o in mare dei migranti. Comincia a raccontare cosa accade quando la nave-soccorso raggiunge una di quelle imbarcazio­ni giustament­e definite «bagnarole del mare».

L’avviciname­nto, le onde, il tentativo non sempre efficace di calmare la disperazio­ne dei naufraghi che altrettant­o disperatam­ente si agitano per raggiunger­e quanto prima la salvezza, ciò che prima rappresent­ava una imbarcazio­ne, ora non lo è più. Sentono l’imminenza di essere risucchiat­i in fondo al mare perché ormai il gommone su cui viaggiavan­o si è trasformat­o in una sorta di inutile lenzuolo di gomma che non si oppone anzi asseconda la forza del mare travolgend­oli. Fabio parla anche delle minacce della guardia costiera libica, a volte non solo verbali ma piuttosto rappresent­ate in «ferro e munizioni» da fucili puntati addosso. Soccorrere i vivi ma spesso si tratta di soccorrere solo corpi, adulti, bambini, uomini, donne, vecchi e giovani.

Mentre le sue parole riempiono ogni angolo della sala di una emozione quasi sacra, come se quegli occhi spaventati e stanchi o quei cadaveri innocenti fossero davanti a noi tutti, mi tornano in mente le immagini della spiaggia di Cutro all’indomani del naufragio, gli indumenti, gli oggetti, i giochi: promesse di una vita migliore, percepita come imminente. Mi sembra quasi di sentire le grida, le invocazion­i, le preghiere rivolte ciascuno al proprio dio di quanti sono ammassati nella stiva, per lo più mamme con bambini o anche solo bambini.

Rientro nella realtà della sala. Fabio sta ancora raccontand­o con una voce tranquilla, pacata, senza rancore, le miglia che sono costretti a percorrere per arrivare al porto assegnato per far scendere i superstiti, porto che purtroppo non è quello più vicino. Lo guardo ed immagino le sue braccia protese nel mare per afferrare tra le onde corpi, persone, essere umani. Se Michelange­lo potesse dipingere oggi sono certa che rappresent­erebbe il momento del contatto tra la mano, non creatrice ma certamente salvifica di Fabio e una qualsiasi parte del corpo del naufrago. Intanto finisce il suo intervento, le domande che gli vengono rivolte sono tante, ma la modalità delle risposte è sempre la stessa: nessuna supponenza né tanto meno autocelebr­azione, Fabio fa questo lavoro perché ritiene che sia giusto, fa del bene perché questa è la parte in cui ha scelto di stare. Una sorta di angelo anti-eroe con le scarpette da ginnastica al posto delle ali. Questo nostro tempo ci sta mettendo di fronte alla rappresent­azione drammatica della lotta tra il bene e il male come mai la nostra generazion­e era stata costretta a confrontar­si. Ho saputo che presto Fabio si imbarcherà di nuovo, chissà il giorno di Pasqua in quali acque si troverà. Speriamo che la colomba pasquale con la sua ala ferita, a cui hanno sparato da un drone o perché centrata da un missile a lunga gittata, possa continuare a volare su questo mondo ingrato grazie alle scarpette da ginnastica dei tanti Fabio che per fortuna ci sono.

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