Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Da Mondragone a Scauri Il nuovo immaginari­o d’autore

Dopo aver perso l’aura vacanziera il litorale domizio è in attesa del riscatto mentre in quello laziale resiste il verde delle ville

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Dalla letteratur­a al cinema, c’è stato un cambio di prospettiv­a nella scelta dei set

litorali vicini e lontani allo stesso tempo: quello dal colore del miele, la costa gialla del tufo di Posillipo, e quello nero e lavico dell’area vesuviana. A Mondragone prevale il grigio del cemento crepato o incompiuto; degli scheletri delle fabbriche che furono, le fabbriche «fujute» dicevano gli operai rimasti senza lavoro. A Scauri, invece, ancora resiste il verde tra le ville. Ed è certo per il grigio che ha sopraffatt­o il verde che Matteo Garrone ha scelto il litorale domizio per girare L’imbalsamat­ore nel 2002, Gomorra nel 2008 e Dogman del 2018. E lo stesso può dirsi per Guido Lombardi a proposito di Là bas nel 2011. O per Edoardo De Angelis autore di Indivisibi­li nel 2016 e Il vizio della speranza nel 2018.

Ora che la prospettiv­a è cambiata si è anche creata una oggettiva continuità tra i romanzi recenti e quelli di ieri.

Fabrizia Ramondino è morta sulla spiaggia di Sant’Agostino, a Nord di Gaeta, dove quasi ogni mattina scendeva a fare il bagno. Come Vittoria, la protagonis­ta di Chi dice e chi tace di Chiara Valerio, in corsa per lo «Strega». E si sa che Ramondino si era trasferita da Napoli a Itri, in provincia di Latina, che chiamò Acraia, la mitica anticittà del suo ultimo romanzo, La via, pubblicato nel 2008. Due anni prima, Elena Ferrante faceva scendere su una spiaggia poco distante Leda, la protagonis­ta di La figlia oscura. Sotto gli ombrelloni, affollati di napoletani invadenti e chiassosi, Leda, professore­ssa d’inglese, incontra la sua immagine riflessa, Nina, anche lei napoletana e anche lei insofferen­te del plebeismo della sua gente. Ancora da queste parti troviamo ora l’io narrante di Il vecchio al mare di Domenico Starnone, rapito da memorie familiari e sorpreso a cercare qualcosa che la sabbia ha sepolto, addirittur­a con un attrezzo da rabdomante. E a Scauri, città natale, torna Chiara Valerio per ambientare il suo romanzo. Torna per indagare su una morte che a molti fa venire in mente quella di Fabrizia Ramondino. Ma in realtà torna perché anche lei è in cerca di radici esistenzia­li.

Nel caso dei i film, trovare la risposta al perché di tanto insistere sempre sugli stessi luoghi è stato più facile. Le atmosfere livide del lungomare domizio, i ruderi del boom economico, delle seconde case e di un’industrial­izzazione lasciata a metà erano funzionali a un’idea comune, alla rappresent­azione della deriva italiana del post terremoto, della criminalit­à organizzat­a, dell’immigrazio­ne senza accoglienz­a e dei rifiuti senza smaltiment­o. Ma nel caso dei romanzi, in cui c’è poco o nulla di tutto questo, dove protagonis­ta è sempre la borghesia e mai, se non per censurarne i comportame­nti, la marginalit­à sociale, cosa c’è invece da cogliere? Daniele Del Giudice, oggi ripubblica­to da Einaudi (Del narrare )ha scritto molte pagine sul rapporto tra letteratur­a e vita e sul cosiddetto spirito dei luoghi. A un certo punto cita Robert Luis Stevenson: «Certi giardini stillanti reclamano a tutti i costi un delitto; certe vecchie case esigono di essere popolate di fantasmi: certe coste sono messe da parte per i naufragi. E ancora altri luoghi sembrano rispettosi del loro destino, suggestivi e impenetrab­ili... Sentiamo che deve accadere qualcosa: non sappiamo cosa, purtuttavi­a ci mettiamo a cercarlo». A quale naufragio allude l’autore dell’Isola del tesoro? A quali coste? Forse è anche di noi che parla, perché dopo aver prodotto e filmato rovine, dopo averle piegate a una sorta di estetica della decadenza e dopo averle esorcizzat­e per inseguire fantasie felliniane, ciò che ora stiamo cercando è forse solo la forza di ricomincia­re. Di «dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera», direbbe Starnone.

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