Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La sinistra
Per farlo, la sinistra deve ripensarsi confrontandosi con i nuovi paradigmi dello sviluppo economico in un mondo segnato da conflitti, migrazioni, emergenze climatiche ed ambientali.
Questa sinistra è alternativa al sovranismo, al populismo, al qualunquismo, che hanno dato una rappresentazione della politica come affarismo o costo per la collettività; così come a quella che, inerte, non è stata in campo mentre, negli ultimi venti anni, se ne sono andati 3,5 milioni di giovani con meno di 35 anni.
Il Pd ha perso le elezioni politiche del 2018 e del 2022. Ormai è un partito che, a livello regionale, governa solo in Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Campania.
Eppure, solo nel 2015, il Pd governava 15 regioni su 20. In Basilicata, terra del «campolargo al contrario», il centrosinistra si è liquefatto grazie ai veti del M5S; e quest’ultimo – dopo avere conseguito il 25% alle politiche del 2022 ed il 20% alle regionali del 2019 – ha raccolto ora, un misero 7,6%. Questa sconfitta è solo l’ultima in ordine di tempo dopo quelle di Calabria, Molise, Friuli, Umbria, Abruzzo, Lombardia.
Il cosiddetto «campolargo» vince alle ultime regionali solo in Sardegna (di stretta misura), ma per il valore aggiunto dell’ottimo candidato, Todde, e per una candidatura alternativa poco condivisa nel centro destra.
La sinistra ha perso anche le ultime comunali in tradizionali roccaforti rosse come Siena, Pisa, Massa, Ancona, piuttosto che a Catania. Infine, il centro sinistra ha perso alle politiche del 2022 il 19% dei voti rispetto al 2018.
Guardando, oggi, dal Mezzogiorno, si fa fatica a ricordare che, per lunghi anni, Pd e centrosinistra hanno governato (oltre che Campania e Puglia) stabilmente la Basilicata e la Calabria. E non lo fanno più soprattutto per guerre tra gruppi dirigenti. Mentre, da anni, nelle cosiddette aree forti italiane caratterizzate dal «buon governo locale» della sinistra è partita la sfida leghista prima, e del centro destra dopo, nel Mezzogiorno, a fronte di mutamenti molto veloci degli scenari che avrebbero richiesto una «mappa aggiornata» per sapere come ricucire l’Italia, e contrastare il Paese – disunito, sono prevalsi astensionismo e sconfitte della sinistra.
Oggi, fa rabbia l’amnesia incombente di quanti dimenticano che proprio la sinistra al governo sia stata protagonista del peccato originale di modifica del Titolo Quinto della Costituzione giusto per inseguire l’agenda della Lega Nord. Ed identica appare l’amnesia verso proposte per l’autonomia differenziata avanzate a suo tempo dall’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini e dalla Toscana di Enrico Rossi, che indussero suggestioni anche in settori della sinistra meridionale impegnata a non apparire retrò.
Oggi la realtà del Mezzogiorno ci parla di larghi settori di popolazione urbana, o quelli delle aree devastate dalla deindustrializzazione, o quelli poveri delle zone interne che da anni si sentono abbandonate e non rappresentate politicamente.
Lo stato dei servizi nelle regioni meridionali è assolutamente carente. Si emigra per studiare, trovare lavoro, ma anche per curarsi. Un Sud che si impoverisce di giovani, con riduzione di natalità, con indicatori dello sviluppo insoddisfacenti, con una povertà educativa dove un ragazzo su quattro abbandona precocemente il ciclo di studi, con spreco di risorse europee, con macchine amministrative pubbliche spesso sgangherate e frequentemente permeabili alla corruzione ed alla criminalità, impone, più che mai, una rigenerazione della sinistra che faccia i conti con la sua crisi identitaria.
Serve una sinistra di popolo e non di ceto politico nel solco di grandi tradizioni del passato; nella debolezza della società meridionale pesano i ritardi della sinistra, la sua incapacità di essere nelle pieghe della società reale e sul territorio.
Pesano la rottura del rapporto eletto–preferenza–territorio, la fedeltà dei «nominati» ai capi piuttosto che agli elettori. Il Pd appare fragile con il suo modello feudale: un rassemblement di capicorrente al centro, con filiere di insediamenti fiduciari sul territorio. Un partito, ormai, prevalentemente di amministratori che, da decenni, ha confuso partito ed istituzioni locali.
Il consenso per il consenso è l’unico terreno di confronto e scontro interno, mentre non si intravedono più dialettiche di linea politica o programmatica. Nel Mezzogiorno il controllo degli spazi nelle istituzioni locali ha legittimato il trasformismo a buon mercato e le liste personali funzionali al potente locale.
Si trasformano le istituzioni locali e risorse pubbliche preziose in leva per consensi personali, compromettendo ogni inveramento di una sinistra che si candidi al cambiamento.
Non basta mettere volti di grandi leader su una tessera di partito. Se i partiti sono in mano a dei potentati che si fronteggiano a colpi di tessere e voti a buon mercato, addio «Sol dell’avvenire».