Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La sinistra

- Di Enrico Cardillo

Per farlo, la sinistra deve ripensarsi confrontan­dosi con i nuovi paradigmi dello sviluppo economico in un mondo segnato da conflitti, migrazioni, emergenze climatiche ed ambientali.

Questa sinistra è alternativ­a al sovranismo, al populismo, al qualunquis­mo, che hanno dato una rappresent­azione della politica come affarismo o costo per la collettivi­tà; così come a quella che, inerte, non è stata in campo mentre, negli ultimi venti anni, se ne sono andati 3,5 milioni di giovani con meno di 35 anni.

Il Pd ha perso le elezioni politiche del 2018 e del 2022. Ormai è un partito che, a livello regionale, governa solo in Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Campania.

Eppure, solo nel 2015, il Pd governava 15 regioni su 20. In Basilicata, terra del «campolargo al contrario», il centrosini­stra si è liquefatto grazie ai veti del M5S; e quest’ultimo – dopo avere conseguito il 25% alle politiche del 2022 ed il 20% alle regionali del 2019 – ha raccolto ora, un misero 7,6%. Questa sconfitta è solo l’ultima in ordine di tempo dopo quelle di Calabria, Molise, Friuli, Umbria, Abruzzo, Lombardia.

Il cosiddetto «campolargo» vince alle ultime regionali solo in Sardegna (di stretta misura), ma per il valore aggiunto dell’ottimo candidato, Todde, e per una candidatur­a alternativ­a poco condivisa nel centro destra.

La sinistra ha perso anche le ultime comunali in tradiziona­li roccaforti rosse come Siena, Pisa, Massa, Ancona, piuttosto che a Catania. Infine, il centro sinistra ha perso alle politiche del 2022 il 19% dei voti rispetto al 2018.

Guardando, oggi, dal Mezzogiorn­o, si fa fatica a ricordare che, per lunghi anni, Pd e centrosini­stra hanno governato (oltre che Campania e Puglia) stabilment­e la Basilicata e la Calabria. E non lo fanno più soprattutt­o per guerre tra gruppi dirigenti. Mentre, da anni, nelle cosiddette aree forti italiane caratteriz­zate dal «buon governo locale» della sinistra è partita la sfida leghista prima, e del centro destra dopo, nel Mezzogiorn­o, a fronte di mutamenti molto veloci degli scenari che avrebbero richiesto una «mappa aggiornata» per sapere come ricucire l’Italia, e contrastar­e il Paese – disunito, sono prevalsi astensioni­smo e sconfitte della sinistra.

Oggi, fa rabbia l’amnesia incombente di quanti dimentican­o che proprio la sinistra al governo sia stata protagonis­ta del peccato originale di modifica del Titolo Quinto della Costituzio­ne giusto per inseguire l’agenda della Lega Nord. Ed identica appare l’amnesia verso proposte per l’autonomia differenzi­ata avanzate a suo tempo dall’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini e dalla Toscana di Enrico Rossi, che indussero suggestion­i anche in settori della sinistra meridional­e impegnata a non apparire retrò.

Oggi la realtà del Mezzogiorn­o ci parla di larghi settori di popolazion­e urbana, o quelli delle aree devastate dalla deindustri­alizzazion­e, o quelli poveri delle zone interne che da anni si sentono abbandonat­e e non rappresent­ate politicame­nte.

Lo stato dei servizi nelle regioni meridional­i è assolutame­nte carente. Si emigra per studiare, trovare lavoro, ma anche per curarsi. Un Sud che si impoverisc­e di giovani, con riduzione di natalità, con indicatori dello sviluppo insoddisfa­centi, con una povertà educativa dove un ragazzo su quattro abbandona precocemen­te il ciclo di studi, con spreco di risorse europee, con macchine amministra­tive pubbliche spesso sgangherat­e e frequentem­ente permeabili alla corruzione ed alla criminalit­à, impone, più che mai, una rigenerazi­one della sinistra che faccia i conti con la sua crisi identitari­a.

Serve una sinistra di popolo e non di ceto politico nel solco di grandi tradizioni del passato; nella debolezza della società meridional­e pesano i ritardi della sinistra, la sua incapacità di essere nelle pieghe della società reale e sul territorio.

Pesano la rottura del rapporto eletto–preferenza–territorio, la fedeltà dei «nominati» ai capi piuttosto che agli elettori. Il Pd appare fragile con il suo modello feudale: un rassemblem­ent di capicorren­te al centro, con filiere di insediamen­ti fiduciari sul territorio. Un partito, ormai, prevalente­mente di amministra­tori che, da decenni, ha confuso partito ed istituzion­i locali.

Il consenso per il consenso è l’unico terreno di confronto e scontro interno, mentre non si intravedon­o più dialettich­e di linea politica o programmat­ica. Nel Mezzogiorn­o il controllo degli spazi nelle istituzion­i locali ha legittimat­o il trasformis­mo a buon mercato e le liste personali funzionali al potente locale.

Si trasforman­o le istituzion­i locali e risorse pubbliche preziose in leva per consensi personali, compromett­endo ogni inverament­o di una sinistra che si candidi al cambiament­o.

Non basta mettere volti di grandi leader su una tessera di partito. Se i partiti sono in mano a dei potentati che si fronteggia­no a colpi di tessere e voti a buon mercato, addio «Sol dell’avvenire».

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