Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Poesia e non poesia di Croce Il significato oltre lo stereotipo
sulla «Critica» dal 1917 al 1922. Con l’aggiunta, nella edizione del 1935, del saggio su Mallarmé. Pure, estrapolata dal progetto critico e storico, e spesso sostitutiva della stessa lettura del libro, la formula sarebbe divenuta nel secondo Novecento uno stereotipo, anzi, come ha osservato D’Angelo in un bel saggio uscito su «Diacritica», un «idolo polemico»: in ciò simile al binomio «struttura/poesia», addebitato a Croce come insufficiente lettore di Dante, nel discusso libro del 1921, solo attento ai frammenti lirici, incapace di intravedere l’unità del fare poetico. Senza entrare nei dettagli di un fraintendimento stratificato che, nonostante il gran lavoro di analisi, di storicizzazione, di edizioni critiche, dell’opera crociana negli ultimi decenni, in parte perdura, questo libro può e deve essere considerato sotto una luce propria.
Il triennio 1921-24 costituisce un turn-point dei più netti e decisivi in questa biografia di eccezione, per la capacità di mutazione e di riarticolazione permanente della riflessione teorica, come per la rinnovata concertazione e intonazione di cellule concettuali e terminologiche. E «poesia e non poesia» esemplifica bene una figura chiave, non soltanto di natura stilistico-retorica, ma adeguata rappresentazione della crociana dialettica dei distinti, la quale include, non esclude, i suoi termini, perché problematizza e arricchisce le «unità fittizie». L’endiadi, letteralmente «l’uno-in-due» introdotto dalla congiunzione, funzionerà infatti d’ora in poi in modo sempre più dichiarato e costante nell’opera di Croce. E si tratta di un vero principio storiografico e critico, fondato sulla «distinzione» ovvero, in senso etimologico, sulla «critica», separazione progressiva dei concetti assoluognora ti. La lettura degli scrittori del XIX secolo offre qui un paesaggio vario eppure consentaneo, al suo interno e verso il pubblico del 1923: una koiné di presenze molteplici ma ancora, oltre i generi, convergenti in una superiore sincronia: da Baudelaire a Leopardi, da Schiller a Ibsen, da Scott a Manzoni e a Balzac, da Kleist a Flaubert, fino, in chiusura, al Carducci portatore di un estremo «sentimento del mondo». È innegabile che la visione di Croce, volta a ricercare il proprio di ogni autore, a «sceverare la poesia», «isolare il valore poetico» attraverso una lettura immanente, sia nello stesso tempo attenta all’effetto del testo nella ricezione del «comune dei lettori». Nella perenne contemporaneità della storia e della critica, così ottenuta, non va dimenticato il carattere militante del comparativismo crociano, applicato alla «poesia italiana e straniera del secolo decimonono», nel segno di un umanesimo
Nell’ambito dell’Edizione Nazionale delle opere, torna il celebre saggio che spesso è stato male interpretato
aggiornato.
Il senso precipuo della interpretazione crociana configura insomma il resistente canone dell’ultimo grande secolo europeo, nel momento in cui sofferente appare l’idea stessa di Europa, secondo quell’intento terapeutico e riparatore prospettato nel Contributo: contro – egli testimoniava – «la rottura delle tradizioni cagionata dalla guerra mondiale».