Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Per niente Candida
Sono una ragazza di 28 anni, laureata da due e, al momento, ho un contratto a tempo determinato fino a settembre. Non è il lavoro che sognavo e non c’entra nulla con quello che ho studiato, ma di questi tempi non mi lamento. Da dieci anni sono fidanzata con un coetaneo. I primi anni sono stati di tira e molla. Eravamo giovani, lui soprattutto aveva voglia di divertirsi e fare mattane con gli amici, ma da quando si è laureato ed è andato a lavorare nello studio di suo padre, si è calmato e da due, tre anni, abbiamo un rapporto tranquillo. Anche troppo. E qui ci avviciniamo al problema. Da un anno e mezzo lui ha una casa sua e vorrebbe che io andassi a vivere da li. Da un po’, anche la mia famiglia mi dice che è ora di uscire di casa. Io tentenno perché non mi sento abbastanza indipendente e ho paura di trovarmi a dipendere dal mio fidanzato. Tentenno anche perché non sono più tanto convinta dei miei sentimenti. L’idea di convivere mi mette ansia, come se significasse mettere una pietra sopra a ogni ulteriore possibilità. Vivo la cosa come una scelta definitiva per la vita e mi accorgo che mi dà un senso di soffocamento. Mi chiedo se è normale o se non lo amo abbastanza. Mi sento in colpa, perché lui non si merita questi pensieri. Sono sempre stata quella che desiderava famiglia, figli e ora mi sento in gabbia, è come se mi avvicinassi al patibolo. Che cosa mi può consigliare? insieme h 24 e soffrono al solo pensiero di essere separate. E sì, l’amore, quando finisce, può essere un sapore di patibolo che si avverte rientrando a casa. Non dico che la convivenza sia obbligatoria in generale. Ci sono coppie che trovano un loro equilibrio vivendo in città distanti o in appartamenti separati, ma avviene quando ci sono circostanze specifiche: lavori in città diverse, figli da relazioni precedenti difficili da gestire, o quando le abitudini di vita sono così radicate che diventa arduo cambiarle e, allora, ci si accorda pacificamente per mantenerle e trovare altri spazi e momenti comuni di incontro. Il vostro caso è diverso. Dopo dieci anni di fidanzamento, dopo aver atteso così tanto per finire gli studi e trovare lavoro, e alla vostra età, con lei ancora in famiglia, il vostro amore si trova alla prova del nove. Siete ormai adulti e questo è il momento in cui scegliamo come vogliamo vivere, con chi, e in cui bisogna anche imparare a fidarsi l’uno dell’altro perché convivere significa poter contare l’uno sull’altro, esserci anche nelle difficoltà e farsi carico con gioia delle eventualità peggiori, per esempio la perdita di lavoro di uno dei due. Sono sfide che due persone che si amano affrontano con slancio e gioia, ma lei mi sembra una persona che non ama più. Sappia che, in amore, sentirsi in colpa non serve a niente, è molto più utile ammettere i propri dubbi e condividerli con l’altra persona. In amore, il problema di uno solo è sempre un problema che hanno entrambi. Più che sentirsi in colpa, dovrebbe avvertire il senso di responsabilità di tenere legata a sé una persona ignara della crisi che sta avendo.
Cara Candida, ho 50 anni e quattro anni fa ho avuto una relazione di tre mesi con un coetaneo che era molto preso dal lavoro e che perciò ho visto pochissimo. L’ho lasciato e dopo un po’ mi si ripresenta spiegando che ha cambiato vita, che prima era «drogato» di lavoro ma che aveva invece trovato un equilibrio diverso: riusciva a fare sport, coltivare i suoi hobby eccetera e, soprattutto, che aveva sbagliato a lasciarmi andare via, perché io sono una donna speciale, l’unica con cui parla di tutto, che lo capisce, e giù complimenti che
sembravano sentiti. Io stavo con un altro, e anche se lui mi ha fatto un certo effetto, gli ho detto che ero fidanzata. Per tre anni, si è rifatto vivo a periodi e ogni volta mi diceva che aveva sbagliato con me, che ero la donna giusta per lui, che era cambiato eccetera. Qualche mese fa, io sono tornata single e ho deciso, con molta cautela, di dargli una chance. Ci sono uscita a pranzo una volta, due, tre (tieni presente che abita a 300 km e ogni volta veniva apposta per vedere me). In effetti, mi sembrava cambiato: per esempio, non stava più ossessivamente al telefono. Quello che non era cambiato fra noi era l’attrazione: io accanto a lui provo sempre lo stesso brivido e la sensazione è che lo provi anche lui. A un certo punto, ho accettato uno dei suoi ripetuti inviti e sono andata io da lui, accettando un invito per giocare a golf. Faccio i miei 300 Km e mi aspettavo che lui almeno mi baciasse, ma niente. Giochiamo, saluto e torno a casa. Boh. Lui con galanteria e una certa solennità mi chiede se può tornare da me e rivedermi a pranzo. Gli dico di sì, ma non chiama più. Che cosa devo pensare? Tieni presente che, a 50 anni, quest’uomo non ha mai convissuto né avuto figli e che lo considero uno che in fondo ha una paura terribile di una relazione seria.
Cara Libera. Che vuoi che pensi? Che gli piaci, ma non gli piaci abbastanza. Che gli piaci razionalmente e fisicamente, ma che non riesce a collegare il cuore al cervello e al resto. Prima, gli mancava il tempo di farlo, oggi, gli manca il coraggio. Già Stendhal diceva che «l’amore è un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull’orlo di un precipizio». Penso che quest’uomo, se è arrivato alla sua età nella sua splendida solitudine, ha una paura persa di amare e che, visto che tu non spasimi più di tanto, non vale la pena perderci del tempo.