Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La vita a ritroso
la?» - Victor: «Ma la vita di tutti, quella a cui penso io, tutti vogliono dimenticarla! E sono molto stupito che la maggior parte della gente non senta l’urgenza di farsi saltare il cervello!».
L’ambiguità del dialogo in questione è evidente. In realtà, Marion sa di Victor molte più cose di quante ne dichiari e la vita di Victor non è quella di tutti, lui vuole dimenticare proprio la sua. E ci avviciniamo, così, allo scioglimento dell’enigma, che sa di tragico. Ma prima, a mo’ di sottolineatura per contrasto, Bedos ci rovescia addosso una divertentissima congerie di strampalate avventure dello «smemorato»: che so, la relazione con l’attrice inglese dal «nome complicatissimo» con la quale ha vissuto cinque anni «in un loft con le pareti laccate di rosso» o l’amore «pazzo» per una cantante di origine portoghese, «un’avventuriera velleitaria»... E non è da meno Marion, che, quando Victor l’accusa di essersela svignata al sud, «dove si è potuta abbronzare il bel seno al sole, in una villa con piscina», replica: «Povero idiota, io non posso espormi al sole. Ho avuto un melanoma a diciassette anni».
Una tale uscita da perfetta fiction (o televisione del dolore che dir si voglia) è l’annuncio della rivelazione che Marion farà alla fine, dopo che avrà detto a Victor: «Quando hai aperto gli occhi, l’altro giorno, all’ospedale, io ero seduta accanto a te. I nostri sguardi si sono incrociati e ti posso giurare che mi hai riconosciuto, Victor. (...) Ma tu hai preferito scambiarmi per un’infermiera. Mi hai imposto le regole di uno strano gioco. Non avevo scelta. Era o questo o la porta. Sono diventata quello che volevi che fossi, cioè “nessuno”».
Eccola, allora, la rivelazione o, meglio, quella che sembra tale. Victor ha voluto che Marion fosse «nessuno» per non affrontare la verità di cui lei sarebbe portatrice: i due avrebbero vissuto insieme e vent’anni prima avrebbero messo al mondo un figlio, Antoine,
poi morto nell’incidente automobilistico che, stando alla lettera del plot, avrebbe fatto perdere la memoria all’uomo. Quel figlio era schiavo della droga. Ma, per l’appunto, è tutto al condizionale. E l’ultimo interrogativo, che intelligentemente Bedos lascia senza risposta, riguarda chi guidasse quell’auto che è andata a schiantarsi contro il muro: Victor o Antoine? E in altri termini, si è trattato di un pietoso assassinio, una sorta di eutanasia, o di un suicidio?
Venendo adesso all’allestimento, debbo purtroppo constatare che (oggi avviene sempre più spesso) è inferiore al testo. La regia di Davide Livermore, cancellando anche il minimo accenno all’ironia disseminata da Bedos, invade lo spazio scenico con una miriade di specchi e di schermi piccoli e grandi che sono il corrispettivo esatto della prova dei due interpreti Linda Gennari e Antonio Zavatteri, vestiti da Armani e confusi, sull’onda di musiche di Bach e Arvo Part, tra un soporifero andante, incongrui scoppi di rabbia, scolastici passettini di danza e finanche accenni al Tai Chi.
Succede persino, alla fine, che compaia su uno schermo il figlio di Victor e Marion, sdraiato fra i due a mo’ del proverbiale bambino nel lettone. Ma come ha fatto Livermore, che è certo una persona intelligente (vedi, in proposito, le mie recensioni largamente positive dei suoi allestimenti di «Maria Stuarda» e dell’«Orestea»), a non capire che assai probabilmente quel figlio esiste solo nella testa e nelle parole di Victor e Marion? In breve, è una pura ipotesi. E in quanto tale, non si può e non si deve vedere.
Meglio tornare al testo di Bedos. Al termine, quando Victor le chiede se debba spegnere la luce, Marion prima risponde di sì e subito dopo dice: «No! In realtà, no. Lasci tutto acceso. Non spenga niente... Non spenga più niente...».