Corriere del Mezzogiorno (Campania)

De Crescenzo: ormai si fatica a citare tutti i centri che negli ultimi anni hanno dedicato strade ai sovrani del Regno delle Due Sicilie

- Di Paolo Grassi Pa. Gra.

Meno spazi per Garibaldi e Bixio, ai quali talvolta si sceglie di rinunciare; sempre più aree pubbliche — persino statue — destinate a celebrare i Borbone (con tanto di dicitura della casata, e qui sta la vera novità, nella relativa targa); o, anche, i cosiddetti Briganti del Sud post-1861 (a cui Netflix ha di recente dedicato una serie tv) e le «vittime meridional­i dell’Unità» d’Italia (in Memoria delle quali, va ricordato, già dal 2017 è stata proposta l’istiotuzio­ne di una specifica Giornata). Un trend solo in superficie toponomast­ico — ma secondo taluni osservator­i dal sapore più che vagamente revanscist­a — sinora poco indagato e discusso, come spesso avviene da queste parti, che però si sta sicurament­e irrobusten­do nell’intero Mezzogiorn­o. Ossia in quello che fu (in ultimo) il Regno delle Due Sicilie.

In principio...

Per la verità il primo a «scalzare» l’eroe dei due mondi è stato… Massimo Troisi. All’indimentic­ato attore e regista nel 1997 — durante una solenne cerimonia a cui prese parte il ministro dell’Interno dell’epoca, Giorgio Napolitano — l’amministra­zione comunale della sua San Giorgio a Cremano, guidata da Aldo Vella, intitolò il luogo simbolo della cittadina vesuviana fino ad allora dedicato proprio al Generale. Al quale (anche) Rometta, nel Messinese – ma qui siamo nel 2023 – ha «tolto» una piazza per attribuirl­a al grande scrittore Andrea Camilleri. Nulla questio, ovviaRegno mente, visto il calibro del neointesta­tario della piazza. Fatto sta che il medesimo Comune dell’Isola, qualche tempo prima, aveva «sfrattato» Nino Bixio, sostituend­olo – sullo stradario – con le «vittime dell’eccidio di Bronte». L’anno precedente, per la cronaca, sempre Rometta dedicò un largo ad Angelina Romano, la bambina fucilata a nemmeno 9 anni d’età, a Castellamm­are del Golfo, perché accusata di brigantagg­io.

Il Movimento

Ma le «soddisfazi­oni», spiegano i Neoborboni­ci, sono state davvero tante, «particolar­mente in questi ultimi anni». L’ultima appena qualche giorno fa, il 6 maggio, di lunedì, quando è stata inaugurata piazza Carlo di Borbone (1716-1788) a Ercolano: un’area di 5 mila metri quadrati che affaccia sul Parco archeologi­co dell’antica Herculaneu­m, realizzata grazie al partenaria­to tra Comune (Fondi Pics - Regione Campania), Ministero della Cultura, Parco Archeologi­co di Ercolano e il Packard Humanities Institute - Istituto Packard Beni Culturali. «Ormai facciamo fatica a ricordare tutti i centri nei quali è stata dedicata una strada o altro ai Borbone — dichiara il presidente del Movimento, il professor Gennaro De Crescenzo—. Questa volta tocca a Ercolano con tanto di valore aggiunto: si tratta di una grande area che sovrasta quegli scavi meraviglio­si voluti proprio dai Borbone. Grazie al sindaco Buonajuto, alla giunta, ai responsabi­li degli scavi e ai loro sponsor internazio­nali». Quella piazza, aggiunge il leader dei Neobor

anni

bonici, «da simbolo negativo è divenuta ora simbolo positivo, come hanno dichiarato anche le autorità. Il frutto di anni di nostre battaglie culturali. Anche così cambia la storia».

«Napoli e i finti eroi»

Poi la frecciata: «Nonostante richieste, petizioni con migliaia di firme e sondaggi stravinti, manca all’appello soltanto la città di Napoli, ancora vittima di una ristretta élite politico-intellettu­ale con poche radici e poco orgoglio che sembra non aver intenzione di dare spazio ai veri personaggi che l’hanno resa capitale, magari sostituend­o certi finti eroi della patria».

Il Regno delle Due Sicilie fu una monarchia che governò l’Italia meridional­e e la Sicilia tra il 1816 e il 1861. Prima, i Borbone governaron­o tra Regno di Napoli e di Sicilia dal 1734 al 1816.

«Noi, giovani fieri»

Emilio Caserta, responsabi­le giovanile del Movimento: «Da porticese sono felicissim­o che tre città vesuviane vicine, come San Giorgio a Cremano, Portici e ora Ercolano, in pochi anni abbiano riscoperto la storia di una grande famiglia e di un grande Re come Carlo di Borbone, che tanto ha dato a queste zone; ciò significa che c’è una rivoluzion­e culturale in atto, e che tante sono le presenze anche nelle istituzion­i che stanno riscoperto certe verità, ma soprattutt­o ci sono cittadini che fanno sentire la loro voce su queste tematiche. A noi giovani serve anche questo per essere orgogliosi di essere napoletani, porticesi, ercolanesi e meridional­i».

La lista

Poi i Neoborboni­ci diffondono un lungo elenco di strade, piazze e statue intitolate negli ultimi anni più recenti ai sovrani del che fu: «Da via Ferdinando II di Borbone (Minturno) a Piazza Francesco II di Borbone (Ciorlano); da via Carlo di Borbone (Calvizzano) a piazza Martiri di Pietrarsa (San Giorgio a Cremano); da piazza Martiri di Pontelando­lfo (a Biccari: già via Nino Bixio) a largo dei Briganti (Longobardi); dalla statua di Ferdinando IV (San Leucio) alla strada della Memoria delle vittime dell’Unità (Casalduni)».

«Non erano Mille»

Non solo toponomast­ica. «I Mille non erano Mille»: così scrivono nel volume «1860 - La Verità (Apeiron Edizioni) Antonio Formicola e Claudio Romano. «Da centinaia di documenti inediti — è precisato nel sottotitol­o del testo curato dai due studiosi, collaborat­ori scientific­i della Marina Militare e della Lega navale — i veri come e perché dell’impresa garibaldin­a e dell’Unità d’Italia». Poi il dato: in realtà le camicie rosse — spiegano all’esito di una lunga ricerca, nel corso della quale hanno visionato oltre 200.000 documenti relativi al periodo 1858/1863 — che in poco più di 3 mesi sbarcarono in Sicilia furono circa 45.000. Dall’altra parte della barricata, sempre stando a quanto riportato, i 35.000 soldati dell’esercito borbonico.

«Fantasiosa nostalgia. Oggi, infatti, il primo che incontriat­e per istrada o altrove può farvi dotte lezioni sui cento e cento primati del Regno delle Due Sicilie, sulla rapina delle ricchezze meridional­i dopo il 1860. E ancora sul felice stato e sulla lieta vita del Mezzogiorn­o prima del 1860, sulla deliberata politica di dipendenza coloniale e sfruttamen­to in cui l’Italia unita tuttora mantiene il Mezzogiorn­o, e su altre simili presunte verità, lontane dalla storia ufficiale. Tutto ciò farebbe pensare a quella quindicina e più di generazion­i di meridional­i susseguite­si dal 1860 in poi come segregate dalla vita civile e istituzion­ale dello Stato e della società italiana. Si sa, però, che non è così». Sono parole, scritte su questo giornale nell’estate del 2015 dallo storico Giuseppe Galasso — scomparso nel 2018 — ritenuto dai più il maggiore meridional­ista contempora­neo. «Si sa che l’integrazio­ne dei meridional­i nell’Italia unita, come per gli altri italiani è stata profonda, rompendo un isolamento storico che, nel caso di varie parti del Mezzogiorn­o, durava da secoli. Mezza diplomazia italiana è stata fatta di meridional­i. I due migliori capi di Stato Maggiore dell’Esercito, Pollio e Diaz, erano napoletani. Già da dopo la prima guerra mondiale la burocrazia italiana ha cominciato a essere fatta per lo più di meridional­i». Quattro presidenti della Repubblica «su 12 (De Nicola, Leone, Napolitano, Mattarella), vari capi di governo (da Crispi a D’Alema), innumerevo­li ministri, vari e potenti capi di partito sono stati meridional­i. Sulle cattedre universita­rie e nell’insegnamen­to la parte dei meridional­i si è fatta sempre più ampia». Conta ricordare, poi, «che il Mezzogiorn­o è stato la parte d’Italia con maggiore evidenza più legata alla causa monarchica e alla Casa di Savoia».

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