Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Meloni e Orban? Sono diversi» Parola di Béla Tarr
La tv dipende troppo dalla politica e questo per me non è interessante Forse potrei pensare di aiutare dei giovani autori a sviluppare delle serie Ma mai girarle
Comincia oggi, con la proiezione al cinema Modernissimo del film «Le armonie di Werckmeister» (ore 21, con un intervento di Antonio Biasiucci) la retrospettiva integrale (quindici titoli) che il Maggio dei Monumenti 2024 dedica al maestro ungherese Béla Tarr. Il 68enne regista sarà anche protagonista nei prossimi giorni di un workshop riservato a giovani film-maker che avranno così modo di confrontarsi con uno dei più significativi autori europei le cui opere, caratterizzate dall’uso del piano-sequenza e del bianco e nero, lo segnalano come un ostinato e radicale indagatore del linguaggio cinematografico. Una leggenda per i cinefili di mezzo mondo: però Tarr, dopo aver vinto con un suo film l’Orso d’argento al Festival di Berlino, ha deciso di non girare più. E proprio da questa sua scelta parte la nostra intervista con lui.
Perché dal 2011, anno del suo «Il cavallo di Torino», lei ha smesso di fare film?
«Sì, ho smesso di fare film, ma non ho smesso di lavorare. Ho fatto una mostra ad Amsterdam, all’Eye Museum. Poi ho lavorato a un grande progetto al Festwochen di Vienna, Missing People, un grande lavoro tra immagini in movimento, esposizioni e musica dal vivo. Questo è quello che sto facendo e non è affatto più facile che girare film.
È una scelta definitiva?
«Sì, lo è».
Lei ha detto una volta che la sua vocazione era quella di fare il filosofo, non il cineasta. Ritiene che i suoi siano film filosofici?
«Non saprei… Ricordo una volta quando ero a Lipari, dove Enrico Ghezzi organizzava un festival di cinema e filosofia (Il vento del cinema, ndr) in cui faceva incontrare registi e filosofi, gli dissi: hey man, si tratta di due diversi linguaggi, non puoi “adottare” la filosofia al cinema… Ora che sono un anziano regista in pensione (ride) sono sempre più interessato al linguaggio: in che modo possiamo mostrare le nostre vite? Non mi riferisco alle “storie”, allo stupido storytelling… Come possiamo andare più a fondo, più a fondo in ogni essere?»
«Satantango», uno dei suoi titoli più famosi, durava oltre sette ore. Oggi le serie tv sono molto più lunghe... E se una piattaforma le proponesse una serie tv, lei per paradosso o per sfida, accetterebbe?
«Non ho alcun desiderio rispetto a questo. La televisione dipende troppo dalla politica e questo per me non è interessante... Però ho visto alcune serie tv e alcuni dei miei film preferiti in assoluto sono lavori televisivi. Per esempio “Berlin Alexanderplatz” di Fassbinder, che possiamo dire è una specie di serie tv… oppure un film unico in 14 parti. Un altro è “Twin Peaks” di David Lynch… Per il resto non ho visto
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lo faranno, l’ho messo in conto fin dal primo momento in cui sono stato chiamato al mio dovere». Ha dichiarato in una intervista. «Venissero pure a prendermi. Venissero in tanti a farmi la festa. Saranno accolti dai Carabinieri con il lanciafiamme!».
Degne di nota, inoltre, sono le sue apparizioni mediatiche a cadenza settimanale. Il Baudo ama farsi ritrarre e riprendere nel pieno del suo sforzo espressivo. In uno dei più recenti di questi siparietti lo si vede bere tranquillamente un caffè al tavolino di un bar di Caivano poche ore dopo una stesa. «Prendere un caffè da soli a Caivano, ha un gusto fantastico!». Afferma guardando dritto nell’obiettivo. La messa in scena, di dubbio valore artistico, risulta però drammaticamente efficace.
Tuttavia è accaduto di recente un cose buone in tv. Forse potrei pensare di aiutare dei giovani autori a sviluppare delle serie… Ma non ho intenzione di girare delle serie».
L’attuale governo di destra italiano nutre grande simpatia per il leader ungherese Orban. Lei che è ungherese ha qualcosa da suggerire al presidente del Consiglio Meloni?
«Non ho nessun consiglio da darle. Comunque in realtà la crisi ucraina mette Meloni e Orbán su posizioni diverse. La vostra prima ministra, anche se si posiziona molto a destra, una specie di iron lady ma in versione soft, al contrario di Orbán sta sostenendo l’Ucraina… fatto nuovo che potrebbe, in qualche modo, mettere in ombra il nostro eroe. Sulla sua strada si è posto infatti un umile politico, un uomo dai valori indiscutibili e dalla salda morale. Uno che da sempre, senza inseguire il clamore o il successo personale, combatte davvero in prima linea la difficile lotta contro la criminalità organizzata rischiando la propria vita. Liberare quel territorio dal malaffare e dall’inquinamento prodotto dai rifiuti industriali interrati negli anni dalla camorra, è per l’onorevole Patriciello non uno slogan elettorale, ma un impegno serio. È tra i principali protagonisti di un movimento di protesta rappresentato anche dal Comitato per la liberazione dalla camorra dell’area Nord di Napoli. Ha pubblicato due libri: Vangelo dalla terra dei fuochi, con Imprimatur nel 2013, e, Non aspettiamo l’Apocalisse, scritto con Marco Demarco e pubblicato da Rizzoli nel 2014. Patriciello è riuscito con la sua autenticità a smascherare in parte il nostro Pippo Baudo, che, evidentemente in difficoltà, ha pensato bene di denigrarlo definendolo pubblicamente il «De Luca” della televisione pubblica italiana, cadendo però in evidente errore, poiché le indiscusse qualità e l’altissimo livello professionale del noto uomo di spettacolo, fanno sì che l’offesa venga da noi recepita come una attestazione di stima. In conclusione, noi ci auguriamo che Pippo Baudo capisca almeno la delicatezza e l’importanza dei temi in questione, provando a non ricadere, in futuro, in queste imbarazzanti e pericolose battute di spirito.