Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quando Croce si riconobbe nel mito di Nicola Pesce
La figura leggendaria di Nicola Pesce, al centro di un vero portolano narrativo di fiabe e rivisitazioni letterarie, che copre tutto il Mediterraneo, è l’immagine che Croce riconosce come sua: emblema, nell’accezione propria di simbolo personale e identitario, se è vero che fece murare il calco del celebre bassorilievo sopra l’entrata della casa di Palazzo Filomarino nel momento in cui ne prese possesso, nel 1911.
Su questo versante dell’immaginario crociano, è assai semplice, attraverso l’analisi dei testi, comprovare la complementarità autobiografica delle Storie e leggende napoletane rispetto al coevo Contributo alla critica di me stesso, a partire dalle pagine rivelatrici dedicate appunto alla leggenda di Nicola Pesce. Il lettore il quale desse credito alla data di composizione, 1896, apposta da Croce alla fine del saggio-racconto Leggende di luoghi e di edifizi napoletani, ove è raccolta la storia della leggenda, cara ad Imbriani come a Croce, del bambino-pesce Niccolò, sarebbe tratto in inganno. A confrontare queste pagine con quelle della redazione su «Napoli nobilissima» del 1896 (dopo le prime note erudite e demologiche di dieci anni prima) ci si accorge di trovarsi innanzi ad alcunché di diverso, come del resto lo stesso Croce fa sospettare quando, nell’Avvertenza del 1915 al volume, dichiara che quelle pagine scritte negli anni giovanili erano state nell’occasione rivedute e talora «riscritte da cima a fondo».
E la differenza è data, come si è già detto, dalla nuova curvatura, narrativa ed autobiografica, del testo: «Una delle leggende che più mi colpirono nei miei primi anni in Napoli — scrive Croce — fu quella di Niccolò Pesce: del fanciullo che amava starsene sempre in mare, facendo gridare sua madre, la quale, un giorno, nel calore dello sdegno gli gettò la maledizione, che “potesse diventar pesce”; e da pesce o quasi pesce egli visse da allora».
Così l’inizio, non presente in «Napoli Nobilissima», dove la leggenda è accostata in un piacevole registro erudito volto a fornire una storia e geografia della leggenda. Il testo ora ruota intorno al racconto orale che a lui, Croce bambino, veniva fatto: «A documento parlante di questi fatti il narratore (era il cocchiere di casa) mi additava il
Il bassorilievo si trovava sulla facciata di un palazzo in via Mezzocannone Croce lo fece riprodurre apponendo la copia sull’uscio di casa L’originale è conservato al Museo di San Martino ritratto di Niccolò Pesce, che si vedeva scolpito in un bassorilievo incastrato nella casa all’angolo delle “strettole di Porto”, di fronte al Vico Mezzocannone...».
La topografia, il percorso delle vie e strettole, in compagnia del nocchiero affabulatore, diventano il racconto della città di cui egli, Croce, si presenta come il narratario, cioè colui che ascolta e che poi, a sua volta, restituisce la memoria del parlato nella narrazione ulteriore. E nella redazione del 1915 si legge ancora: «Mi persi, molte volte, fanciullo, con l’immagina
Fece realizzare copia del bassorilievo con il ragazzo coperto di squame. Domani visite, reading di Andrea Renzi e uno speech di Nunzio Ruggiero
zione nei fondi del mare che l’ardito esploratore frugava».
Nella personale mitografia crociana, Nicola Pesce rappresenta, infatti, un vero archetipo. Non solo, come aveva scritto Vittorio Imbriani — uno dei suoi auctores prossimi — in quanto simbolo del lavoro del critico, palombaro letterario che improbi oblii vendica, il quale riporta alla luce testi ed autori dimenticati o occultati. Ma si tratta della immagine ctonia eppure vitale, così cara a lui, il Sopravvissuto: l’immagine dello sprofondamento-seppellimento e della riemersione del passato come Storia, che rivela, dell’itinerario e del pensiero crociano, il meccanismo regolatore profondo.
Il filosofo e la leggenda Il fanciullo che amava starsene sempre in mare, facendo gridare sua madre che gli gettò la maledizione: «Potesse diventar pesce»