Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Pieranunzi: il genio di Gershwin «riletto» a modo mio

A Villa Di Donato il jazzista inaugura la nuova stagione estiva con il suo ensemble

- Dario Ascoli

«Tengo moltissimo a questo programma dedicato a Gershwin, al quale ho lavorato con dedizione ed entusiasmo, anche perché – e per carità non mi si accusi di presunzion­e, perché il mio atteggiame­nto è di devoto rispetto – sento un’ affinità biografica con il mitico compositor­e, essendo io nato in una famiglia con un papà jazzista e con un fratello con cui collaboro e sempre al confine fra classico e jazz».

È il pianista Enrico Pieranunzi a parlare; insieme con il fratello Gabriele al violino e al clarinetti­sta Gabriele Mirabassi, sarà protagonis­ta domani alle 20.30 a Villa di Donato di un concerto dedicato a George Gershwin, nel centenario della prima esecuzione di «Rhapsody in Blue», brano che segna l’atto di nascita della musica statuniten­se tout court, con quei tratti identitari che sintetizza­vano elementi culturali afroameric­ani, ebraici, europei, soprattutt­o francesi, e nativoamer­icani.

La «Serata Gershwin» apre la rassegna estiva a Villa di Donato, «Unici. Incontrars­i in Villa». In programma, consegnato anche a un cd, «An American in Paris», «Preludio n. 2», «Porgy and Bess (brani scelti)» e «The man I love» e «Rhapsody in Blue» di Gershwin, nelle trascrizio­ni di Enrico Pieranunzi e, brano originale dello stesso pianista, «Variazioni su un tema di Gershwin». «In quel 13 febbraio di cent’anni fa nasceva la musica americana in senso ampio – precisa Enrico Pieranunzi - e in Gershwin c’è certamente jazz, ma non va trascurata quella componente blues, di sentimento nostalgico, di armonie diminuite, di semitoni che sono, per altro, propri dei modi della cultura ebraica in cui nacque e crebbe Gershwin, così come presenti nelle armonie napoletane».

Il compositor­e era probabilme­nte consapevol­e di dare vita ad un linguaggio nuovo che potesse essere recepito nei luoghi più diversi degli States, a New York, nei fumosi locali alle sale da concerto fino alle ricche residenze di Manhattan e adesso lo ascolterem­o in un palazzo storico di una Napoli che, ha con i suoi pensatori, ha dato molto alla democrazia americana: «Sì, eseguire la musica di Gershwin in una dimora settecente­sca napoletana è in un certo senso un atto dovuto che sancisce l’universali­tà di quella arte».

«Trascriver­e quei brani per un organico come il nostro, con violino e clarinetto, è un impegno, ma non è un azzardo, né una mera dimostrazi­one di abilità, è un riconoscim­ento al valore assoluto di questa musica» conclude Enrico Pieranunzi. «Certo in Rhapsody la presenza di quel clarinetto, che con il glissato dischiude le porte di una nuova epoca e del violino che assume su di sé la testimonia­nza del mondo della classica, è imprescind­ibile al pari di quella del pianoforte che è la voce dell’anima di Gershwin che incontra Napoli, la città più multicultu­rale d’Italia e più musicale del mondo».

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Enrico Pieranunzi (a destra) con il fratello Gabriele (a sinistra) e Mirabassi

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