Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Segreti confessabili in un’inquietante «Spoon River»
Lasciate ogni segreto, voi che entrate! Il monito dantesco, riveduto e corretto, ben si adegua al nuovo libro di Adolfo Ferraro, lo psichiatra napoletano che in Seizeronove raccontò l’esperimento di laboratorio di lettura e scrittura creativa sul Visconte dimezzato di Calvino con venti detenuti responsabili di reati sessuali.
Stavolta Ferraro ha superato se stesso, si è reso promotore di un’operazione molto diversa, per definire la quale l’unico aggettivo plausibile è: inquietante. Segreti, edito da Homo Scrivens, è un libro che parte da una precisa domanda: dove vanno a finire i segreti quando la persona che li conserva gelosamente muore? Sì, proprio i segreti, quelli inconfessabili, che si raccontano sottovoce, con la promessa di non andarli a spiattellare in giro. Ai primi posti dei segreti celati sembra che ci siano – in ordine decrescente – il desiderio di tradire il partner, i comportamenti sessuali perversi, aver mentito, aver violato la fiducia di qualcuno, aver rubato.
Il protagonista del volume è un uomo che, rimasto vittima di un incidente stradale, muore e finisce in una specie di sala d’attesa del Paradiso dove, per poter procedere e godere dei benefici della vita eterna, ognuno è obbligato a depositare, rivelandoli, i segreti che non ha mai raccontato a nessuno. Prima però di liberarsi dei propri, l’ultimo arrivato in quello strano luogo di passaggio ha la possibilità di andare a curiosare nei segreti svelati da chi l’ha preceduto, raccolti nei faldoni di un archivio immenso.
E a quel punto il testo di Ferraro prende una piega inaspettata e diventa una sorta di Antologia di Spoon River in cui i personaggi defunti entrano in scena non per raccontare nobili vicende umane ma per svelare le proprie nefandezze in vita. Di volta in volta, uno ad uno, pentendosi, vergognandosi o al contrario compiacendosi fino ad inorgoglirsi di quello che un giorno hanno fatto, senza dirlo a nessuno.
Così c’è la badante romena che confessa di aver rubato per anni i soldi della vecchia che accudiva o la monaca di clausura che rivela di aver ricevuto ogni notte la visita del suo primo amore, o ancora l’ingegnere che ammette l’errore di progettazione che portò al crollo del palazzo da lui costruito, con la morte di dodici persone tra cui due bambini. È un’umanità dolente e indolente quella che sfila, pagina dopo pagina, quasi da trattato di psichiatria (e qui ha gioco facile la professione dell’autore). Storie di una semplicità disarmante, come quella della donna che deposita il segreto di un figlio che non è stato procreato dall’uomo che l’ha cresciuto. Oppure più arzigogolate, il cameriere che sputava nei piatti che portava a chi gli era antipatico. Tra i tanti ritratti ce n’è uno, a pagina 62, che merita di essere approfondito: il protagonista si definisce «politico per tutta la vita» e dice di sé: «Ho sempre pensato che chi non vuole fare sapere una cosa non deve confidarla neanche a sé stesso. Perché non bisogna mai lasciare tracce. Per questo motivo, non ho nessun segreto da raccontarvi». Il politico si chiama G. A. Segreto sì, ma di Pulcinella.