Corriere del Mezzogiorno (Campania)
TOPONOMASTICA CHE CAMBIA NO ALLE SPINTE EMOTIVE
L’editoriale di giorni addietro a firma di Giancristiano Desiderio riferiva con il giusto e dovuto senso storico circa le diatribe suscitate a proposito delle denominazioni di strade e piazze in vari comuni rimosse in séguito a considerazioni prive di qualsiasi giustificazione storiografica; considerazioni ben sottolineate relativamente a «revisioni» aventi per oggetto fatti del nostro passato. «Le quali» scriveva Desiderio «se fossero il tentativo di conoscere la storia degli Stati italiani preunitari, sarebbero delle lodevoli occasioni. Invece, e purtroppo, è soltanto un’operazione che mira a negare il valore del Risorgimento che ha unito l’Italia sul fondamento della libertà».
Lo studioso riferisce come a volte la toponomastica risulti ingannevole col proporre una versione menzognera di fatti storici, forse sotto l’influsso di spinte emotive del momento.
Ed è davvero così anche nelle attuali procedure; è perciò che la normativa vigente vuole che, prima di valutare l’opportunità di intitolare una strada, una piazza, uno spazio a un personaggio, è necessario, tra l’altro, che siano trascorsi dieci anni dalla sua morte; talvolta è accaduto che siano state concesse delle deroghe (così come pure ammesso da parte dell’autorità prefettizia) e se ne è avvertito l’esito non felice.
A volte può accadere lo stesso quando l’attribuzione di un toponimo non sia stata ben approfondita nella giusta misura, quando i doverosi e imparziali giudizi siano stati sopraffatti da suggerimenti privi di una completa analisi dei meriti del personaggio più o meno pubblico, dei suoi requisiti culturali, artistici ed etici necessari per meritare un ricordo imperituro.
Al di là di qualsiasi effimera notorietà, è sempre necessario che il personaggio possegga caratteristiche obiettive che gli facciano davvero meritare il tributo. È sempre auspicabile che le «spinte emotive» prodotte dalle sollecitazioni di parenti, di amici o di estimatori facciano distrarre chi di dovere da un’approfondita analisi della persona che si intende onorare, ignorando o tralasciando eventuali aspetti negativi che pure meritano d’essere presi in considerazione e che potrebbero essere determinanti ai fini di una decisione ponderata.
Restando in argomento, così come è già capitato di scrivere su queste pagine, sarebbe in generale giusto che l’odonomastica segua criteri di omogeneità, sia nella denominazione di strade prive di toponimo sia per evitare di rompere quella che già esiste. E c’è da dire che l’attuale Commissione Toponomastica pare intenda affrontare lo studio delle zone della città comprendenti strade prive di toponimo con l’intento di rispettare un diffuso spirito di omogeneità; e si spera, altrove, senza cambiare intestazioni esistenti perché esse stesse sono anche storia e memoria collettiva.
Sono trascorsi molti anni da quel cambiamento di nome, ma sono pochi i napoletani che hanno rinunciato a chiamare così il viale Principessa Elena; certo, Antonio Gramsci ben meritava l’intitolazione di una strada, ma la novità non è stata generalmente tanto gradita e resta poco chiaro il motivo di mutare l’intitolazione di una strada che per moltissimi (era facile prevederlo) continua a essere «viale Elena». Anni addietro il sindaco de Magistris annunciò l’intenzione di mutare i nomi di Piazzale Tecchio e di via Vittorio Emanuele III, la strada del San Carlo e di uno degli ingressi della Galleria Umberto (chissà come mai non sia venuto anche per questa un analogo desiderio...). Qualcuno del mondo dei social network, nella foga del facile uso della tastiera, definì tutto ciò una «boldrinata» alludendo all’idea espressa qualche tempo fa dall’allora Presidente della Camera di far rimuovere una scritta sull’obelisco del Foro Italico, quello stesso che Bruno Zevi, ebreo antifascista, ha sempre continuato a chiamare «Foro Mussolini» perché diceva: «La storia non si cancella cambiando i nomi». E cadeva a proposito in quei giorni quanto dichiarava Francesco Rutelli sulle pagine del «Messaggero»: «Bisogna evitare un revisionismo storico contingente, che rischia di essere senza fine. Si veda la triste vicenda accaduta a Livorno. dove si è negata una via al livornesissimo Ciampi, con il pretesto del suo legame con l’ingresso dell’Italia nell’euro. È meglio abbandonare visioni di parte, perché stiamo parlando dello spazio pubblico». E sì, perché la toponomastica, per fortuna, è un campo di battaglia dove non si sparge sangue, ma che investe e racconta comunque la storia della città.
Anni addietro nacque l’idea di intitolare una strada a Luciano de Crescenzo, un’idea lanciata in modo improvvido già dinanzi al feretro dell’ingegnere-scrittore, desiderando addirittura che la cosa fosse attuata «sùbito», quando è noto l’intero iter necessario; e già in quell’occasione fu lanciata l’idea di cambiar nome al «vicoletto Belledonne a Chiaja», così denominato da secoli. Ma fu opportuno ricordare che quella zona di Chiaja era sede «dei quartieri delle soldatesche regie» e la toponomastica ricorda il luogo e la storica destinazione del quartiere, con la «via della Cavallerizza», la strada parallela «vico Belledonne» e la loro congiungente «vicoletto Belledonne», con esplicito riferimento al tempo libero delle soldatesche: tre strade che rammentano un pezzo di storia urbana. Forse lo stesso Luciano De Crescenzo si sarebbe ribellato all’idea di eliminare questi ricordi e fu avvilente che a perorare la causa sia intervenuta qualcuno che, anziché pensare eventualmente ai luoghi di Santa Lucia vissuti dall’ingegnere-scrittore, indicava il vicoletto Belledonne quale toponimo da mutare, «poiché Luciano amava le belle donne»…, forse non sapendo a quali “belle donne” il toponimo facesse riferimento.