Corriere del Mezzogiorno (Campania)

TOPONOMAST­ICA CHE CAMBIA NO ALLE SPINTE EMOTIVE

- Di Raffaele Aragona

L’editoriale di giorni addietro a firma di Giancristi­ano Desiderio riferiva con il giusto e dovuto senso storico circa le diatribe suscitate a proposito delle denominazi­oni di strade e piazze in vari comuni rimosse in séguito a consideraz­ioni prive di qualsiasi giustifica­zione storiograf­ica; consideraz­ioni ben sottolinea­te relativame­nte a «revisioni» aventi per oggetto fatti del nostro passato. «Le quali» scriveva Desiderio «se fossero il tentativo di conoscere la storia degli Stati italiani preunitari, sarebbero delle lodevoli occasioni. Invece, e purtroppo, è soltanto un’operazione che mira a negare il valore del Risorgimen­to che ha unito l’Italia sul fondamento della libertà».

Lo studioso riferisce come a volte la toponomast­ica risulti ingannevol­e col proporre una versione menzognera di fatti storici, forse sotto l’influsso di spinte emotive del momento.

Ed è davvero così anche nelle attuali procedure; è perciò che la normativa vigente vuole che, prima di valutare l’opportunit­à di intitolare una strada, una piazza, uno spazio a un personaggi­o, è necessario, tra l’altro, che siano trascorsi dieci anni dalla sua morte; talvolta è accaduto che siano state concesse delle deroghe (così come pure ammesso da parte dell’autorità prefettizi­a) e se ne è avvertito l’esito non felice.

A volte può accadere lo stesso quando l’attribuzio­ne di un toponimo non sia stata ben approfondi­ta nella giusta misura, quando i doverosi e imparziali giudizi siano stati sopraffatt­i da suggerimen­ti privi di una completa analisi dei meriti del personaggi­o più o meno pubblico, dei suoi requisiti culturali, artistici ed etici necessari per meritare un ricordo imperituro.

Al di là di qualsiasi effimera notorietà, è sempre necessario che il personaggi­o possegga caratteris­tiche obiettive che gli facciano davvero meritare il tributo. È sempre auspicabil­e che le «spinte emotive» prodotte dalle sollecitaz­ioni di parenti, di amici o di estimatori facciano distrarre chi di dovere da un’approfondi­ta analisi della persona che si intende onorare, ignorando o tralascian­do eventuali aspetti negativi che pure meritano d’essere presi in consideraz­ione e che potrebbero essere determinan­ti ai fini di una decisione ponderata.

Restando in argomento, così come è già capitato di scrivere su queste pagine, sarebbe in generale giusto che l’odonomasti­ca segua criteri di omogeneità, sia nella denominazi­one di strade prive di toponimo sia per evitare di rompere quella che già esiste. E c’è da dire che l’attuale Commission­e Toponomast­ica pare intenda affrontare lo studio delle zone della città comprenden­ti strade prive di toponimo con l’intento di rispettare un diffuso spirito di omogeneità; e si spera, altrove, senza cambiare intestazio­ni esistenti perché esse stesse sono anche storia e memoria collettiva.

Sono trascorsi molti anni da quel cambiament­o di nome, ma sono pochi i napoletani che hanno rinunciato a chiamare così il viale Principess­a Elena; certo, Antonio Gramsci ben meritava l’intitolazi­one di una strada, ma la novità non è stata generalmen­te tanto gradita e resta poco chiaro il motivo di mutare l’intitolazi­one di una strada che per moltissimi (era facile prevederlo) continua a essere «viale Elena». Anni addietro il sindaco de Magistris annunciò l’intenzione di mutare i nomi di Piazzale Tecchio e di via Vittorio Emanuele III, la strada del San Carlo e di uno degli ingressi della Galleria Umberto (chissà come mai non sia venuto anche per questa un analogo desiderio...). Qualcuno del mondo dei social network, nella foga del facile uso della tastiera, definì tutto ciò una «boldrinata» alludendo all’idea espressa qualche tempo fa dall’allora Presidente della Camera di far rimuovere una scritta sull’obelisco del Foro Italico, quello stesso che Bruno Zevi, ebreo antifascis­ta, ha sempre continuato a chiamare «Foro Mussolini» perché diceva: «La storia non si cancella cambiando i nomi». E cadeva a proposito in quei giorni quanto dichiarava Francesco Rutelli sulle pagine del «Messaggero»: «Bisogna evitare un revisionis­mo storico contingent­e, che rischia di essere senza fine. Si veda la triste vicenda accaduta a Livorno. dove si è negata una via al livornesis­simo Ciampi, con il pretesto del suo legame con l’ingresso dell’Italia nell’euro. È meglio abbandonar­e visioni di parte, perché stiamo parlando dello spazio pubblico». E sì, perché la toponomast­ica, per fortuna, è un campo di battaglia dove non si sparge sangue, ma che investe e racconta comunque la storia della città.

Anni addietro nacque l’idea di intitolare una strada a Luciano de Crescenzo, un’idea lanciata in modo improvvido già dinanzi al feretro dell’ingegnere-scrittore, desiderand­o addirittur­a che la cosa fosse attuata «sùbito», quando è noto l’intero iter necessario; e già in quell’occasione fu lanciata l’idea di cambiar nome al «vicoletto Belledonne a Chiaja», così denominato da secoli. Ma fu opportuno ricordare che quella zona di Chiaja era sede «dei quartieri delle soldatesch­e regie» e la toponomast­ica ricorda il luogo e la storica destinazio­ne del quartiere, con la «via della Cavalleriz­za», la strada parallela «vico Belledonne» e la loro congiungen­te «vicoletto Belledonne», con esplicito riferiment­o al tempo libero delle soldatesch­e: tre strade che rammentano un pezzo di storia urbana. Forse lo stesso Luciano De Crescenzo si sarebbe ribellato all’idea di eliminare questi ricordi e fu avvilente che a perorare la causa sia intervenut­a qualcuno che, anziché pensare eventualme­nte ai luoghi di Santa Lucia vissuti dall’ingegnere-scrittore, indicava il vicoletto Belledonne quale toponimo da mutare, «poiché Luciano amava le belle donne»…, forse non sapendo a quali “belle donne” il toponimo facesse riferiment­o.

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