Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«L’Asl è responsabile dell’omicidio di Paola Labriola»
BARI Vincenzo Poliseno è l’autore materiale dell’omicidio della psichiatra Paola Labriola, ma chi all’interno dell’Asl di Bari avrebbe dovuto garantire la sicurezza dei suoi dipendenti non l’ha fatto e ha, così, creato le condizioni affinché il delitto «annunciato» si consumasse. In definitiva, ha concorso nel reato di omicidio volontario. È questa, in estrema sintesi, l’accusa che viene rivolta in una denuncia depositata in Procura dall’avvocato Michele Laforgia per conto di Vito Calabrese, il marito della dottoressa uccisa il 4 settembre de l 2013. L’inchiesta sull’assassinio della psichiatra, ammazzata con oltre 70 coltellate da un suo paziente durante una visita nel Centro di salute mentale di via Tenente Casale, nel rione Libertà, si arricchisce di un nuovo fascicolo e spunto investigativo. La famiglia della vittima chiede al pm inquirente, Baldo Pisani, di accertare se chi all’epoca era responsabile della sicurezza dei medici abbia, con le proprie negligenze, concorso nel delitto. Nel lungo e dettagliato esposto, Vito Calabrese ripercorre le tappe della vicenda, dall’assassinio sino alla condanna di primo grado a 30 anni di carcere inflitta a Vincenzo Poliseno. Sino ad oggi, le indagini avviate dal pm Pisani erano due: una sull’omicidio volontario commesso da Poliseno, l’altra sulle presunte responsabilità dell’Asl Bari legate alla sicurezza dei centri di salute mentale. Nei mesi scorsi la Procura ha chiuso anche questo secondo fascicolo, nel quale risultano indagate 14 persone - tra di loro l’ex direttore generale dell’azienda sanitaria, Domenico Colasanto, e altri funzionari - accusate, a vario titolo, di concussione, omissione di atti d’ufficio, falso e abuso d’ufficio per non aver predisposto per tempo e poi aver falsificato, i cosiddetti Dvr, i documenti di valutazione dei rischi. Secondo il marito di Paola Labriola, proprio questi comportamenti avrebbero creato le condizioni affinché il delitto si verificasse, di fatto concorrendo nello stesso. Lo stesso giudice che ha condannato Vincenzo Poliseno nella motivazioni parla di un «crimine tristemente annunciato» perché non era «mai stato previsto alcun tipo di pur minimo assetto o presidio di sicurezza a tutela del personale”.