Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
DONNE AL POTERE È L’ORA DEI PENTITI
Sulla questione delle donne al potere è sempre tempo di pentiti. Sono decenni che scorrono lacrime insincere sulle occasioni perse e che scatta la rincorsa alla «riparazione» del giorno dopo.
Ciò che non avviene per fisiologia della democrazia, si cerca di ottenere per aggiustamenti simbolici. Una bella infornata di nomine femminili ad opera maschile, cosa c’è di meglio per affermare i diritti della donna moderna? Sia chiaro, qui non è sotto accusa l’intento del presidente Emiliano di indicare alcune donne nella sua Giunta. E’ un suo diritto, forse anche un suo merito. E’ in discussione il meccanismo per cui finché la politica e il potere restano maschilizzate, saranno sempre quella politica e quel potere ad elargire, a concedere e a cooptare. Così come Carlo Alberto regalava la Costituzione per apparire «illuminato», pur restando saldamente monarchico e assolutista, così il primato maschile sulle istituzioni si illude di regolare i conti semplicemente allargando il tavolo. Ma se pensiamo sinceramente che una donna al potere sia una ricchezza della società, non possiamo usarla come ornamento per un sistema che resta uguale a se stesso. Se le donne sono cooptate in un sistema chiuso, saranno cooptate anche in un quadro di comportamenti e di valori che è esattamente quello di prima: conservatore e deviato da distorsioni che penalizzano il merito. Per contare nelle stanze che contano, le donne in carriera dovranno rinunciare a qualsiasi dote specifica ed originale: l’autonomia, per esempio. Non a caso, il prototipo del dirigente-donna creato in laboratorio è quasi sempre simile al dirigente-uomo: preoccupato/a di mantenere il potere e quindi disattento/a rispetto alla qualità della sua opera; impaurito/a della sua ombra e quindi incapace di dare al suo lavoro il guizzo della creatività e dell’innovazione. Ci sono donne che, al contrario, hanno conquistato il loro ruolo senza corsie preferenziali e senza rinunciare a se stesse. Non mancano certo, nell’impresa, nel giornalismo ed anche nella politica, donne intellettualmente autonome che portano al potere anche il loro «essere donne». Certo, cambiare i valori e le prassi del potere è molto più difficile che cambiare semplicemente le targhette da «assessore» ad «assessora». Però è questa la vera sfida della nostra epoca. Qualche anno fa l’amministratore delegato di Deutsche Telecom spiegava così la sua decisione sulle quote rosa: «E’ una questione di equità sociale e un’assoluta necessità per il nostro successo». Giusto, ma intendiamoci: il successo c’è se un’azienda, un partito o una Giunta hanno la forza di cambiare il loro modello di decisione e di management. A quel punto, non avranno più bisogno di mantenere in piedi né riserve indiane né nomine del day after. Perché le donne mig. liori ce la faranno da sole