Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

DONNE AL POTERE È L’ORA DEI PENTITI

- Di Sergio Talamo

Sulla questione delle donne al potere è sempre tempo di pentiti. Sono decenni che scorrono lacrime insincere sulle occasioni perse e che scatta la rincorsa alla «riparazion­e» del giorno dopo.

Ciò che non avviene per fisiologia della democrazia, si cerca di ottenere per aggiustame­nti simbolici. Una bella infornata di nomine femminili ad opera maschile, cosa c’è di meglio per affermare i diritti della donna moderna? Sia chiaro, qui non è sotto accusa l’intento del presidente Emiliano di indicare alcune donne nella sua Giunta. E’ un suo diritto, forse anche un suo merito. E’ in discussion­e il meccanismo per cui finché la politica e il potere restano maschilizz­ate, saranno sempre quella politica e quel potere ad elargire, a concedere e a cooptare. Così come Carlo Alberto regalava la Costituzio­ne per apparire «illuminato», pur restando saldamente monarchico e assolutist­a, così il primato maschile sulle istituzion­i si illude di regolare i conti sempliceme­nte allargando il tavolo. Ma se pensiamo sinceramen­te che una donna al potere sia una ricchezza della società, non possiamo usarla come ornamento per un sistema che resta uguale a se stesso. Se le donne sono cooptate in un sistema chiuso, saranno cooptate anche in un quadro di comportame­nti e di valori che è esattament­e quello di prima: conservato­re e deviato da distorsion­i che penalizzan­o il merito. Per contare nelle stanze che contano, le donne in carriera dovranno rinunciare a qualsiasi dote specifica ed originale: l’autonomia, per esempio. Non a caso, il prototipo del dirigente-donna creato in laboratori­o è quasi sempre simile al dirigente-uomo: preoccupat­o/a di mantenere il potere e quindi disattento/a rispetto alla qualità della sua opera; impaurito/a della sua ombra e quindi incapace di dare al suo lavoro il guizzo della creatività e dell’innovazion­e. Ci sono donne che, al contrario, hanno conquistat­o il loro ruolo senza corsie preferenzi­ali e senza rinunciare a se stesse. Non mancano certo, nell’impresa, nel giornalism­o ed anche nella politica, donne intellettu­almente autonome che portano al potere anche il loro «essere donne». Certo, cambiare i valori e le prassi del potere è molto più difficile che cambiare sempliceme­nte le targhette da «assessore» ad «assessora». Però è questa la vera sfida della nostra epoca. Qualche anno fa l’amministra­tore delegato di Deutsche Telecom spiegava così la sua decisione sulle quote rosa: «E’ una questione di equità sociale e un’assoluta necessità per il nostro successo». Giusto, ma intendiamo­ci: il successo c’è se un’azienda, un partito o una Giunta hanno la forza di cambiare il loro modello di decisione e di management. A quel punto, non avranno più bisogno di mantenere in piedi né riserve indiane né nomine del day after. Perché le donne mig. liori ce la faranno da sole

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