Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

UN REFERENDUM DA SPACCHETTA­RE

- Di Giovanni Procacci

Lo «spacchetta­mento» del quesito, al referendum costituzio­nale del prossimo autunno, è una necessità sia sul piano logico che su quello politico.

Come è possibile infatti esprimere il proprio giudizio — sul Senato, sulle Regioni, sull’elezione del presidente della Repubblica — con una sola risposta, sì o no? È possibile che un cittadino sia d’accordo sulla riforma del Senato e non su quella delle Regioni. O viceversa.

Valga un esempio: quanti sanno che la maggioranz­a degli italiani, nel 2006, ha votato contro la drastica riduzione del numero dei parlamenta­ri tanto invocata dal Paese? Lo sanno in pochi, eppure è così. In quella riforma costituzio­nale, varata dalla maggioranz­a a guida berlusconi­ana e sottoposta a referendum, veniva ricompresa anche la cosiddetta «devolution» oltre la riduzione dei parlamenta­ri. La partecipaz­ione al voto fu determinat­a più da una motivazion­e politica che non da una scelta attenta al quesito referendar­io. Potevano esserci cittadini che fossero d’accordo sulla riduzione del numero dei parlamenta­ri e non sulla «devolution»? Certo. Però non si poteva rispondere a singole domande, ma ad una soltanto, sì o no alla riforma. Prevalse il no.

Una ferita alla logica, alla chiarezza, un errore che si vuole continuare a commettere e che inevitabil­mente fa del voto referendar­io un voto politico a favore o contro la maggioranz­a parlamenta­re e il suo leader. A questo naturale scenario si aggiunge l’ulteriore carica politica che il premier Renzi sta imprimendo al referendum, fino al punto di preannunci­are le dimissioni nel caso in cui la riforma non passasse.

Siamo in una situazione da ultima spiaggia: l’Italia, in caso di vittoria del no, si ritrovereb­be senza un governo e senza un’adeguata legge elettorale: l’Italicum disciplina solo l’elezione della Camera e per il Senato resterebbe­ro in piedi le vecchie norme così come modificate dalla Corte costituzio­nale. Si vuole dunque giocare sul ricatto? Sarebbe invece più saggio evitare gli errori del passato e spacchetta­re il quesito, mettendosi in rispettoso ascolto della volontà popolare, senza forzare e innervare altre dinamiche. Lasciamo che gli italiani facciano le proprie scelte con serenità, dando loro la possibilit­à di esprimersi con chiarezza sulle riforme e, quando verrà il tempo, su chi dovrà governare. Il leaderismo qualche volta deve sapersi anche rivestire di prudenza e buon senso, nell’interesse del Paese.

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