Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
UN REFERENDUM DA SPACCHETTARE
Lo «spacchettamento» del quesito, al referendum costituzionale del prossimo autunno, è una necessità sia sul piano logico che su quello politico.
Come è possibile infatti esprimere il proprio giudizio — sul Senato, sulle Regioni, sull’elezione del presidente della Repubblica — con una sola risposta, sì o no? È possibile che un cittadino sia d’accordo sulla riforma del Senato e non su quella delle Regioni. O viceversa.
Valga un esempio: quanti sanno che la maggioranza degli italiani, nel 2006, ha votato contro la drastica riduzione del numero dei parlamentari tanto invocata dal Paese? Lo sanno in pochi, eppure è così. In quella riforma costituzionale, varata dalla maggioranza a guida berlusconiana e sottoposta a referendum, veniva ricompresa anche la cosiddetta «devolution» oltre la riduzione dei parlamentari. La partecipazione al voto fu determinata più da una motivazione politica che non da una scelta attenta al quesito referendario. Potevano esserci cittadini che fossero d’accordo sulla riduzione del numero dei parlamentari e non sulla «devolution»? Certo. Però non si poteva rispondere a singole domande, ma ad una soltanto, sì o no alla riforma. Prevalse il no.
Una ferita alla logica, alla chiarezza, un errore che si vuole continuare a commettere e che inevitabilmente fa del voto referendario un voto politico a favore o contro la maggioranza parlamentare e il suo leader. A questo naturale scenario si aggiunge l’ulteriore carica politica che il premier Renzi sta imprimendo al referendum, fino al punto di preannunciare le dimissioni nel caso in cui la riforma non passasse.
Siamo in una situazione da ultima spiaggia: l’Italia, in caso di vittoria del no, si ritroverebbe senza un governo e senza un’adeguata legge elettorale: l’Italicum disciplina solo l’elezione della Camera e per il Senato resterebbero in piedi le vecchie norme così come modificate dalla Corte costituzionale. Si vuole dunque giocare sul ricatto? Sarebbe invece più saggio evitare gli errori del passato e spacchettare il quesito, mettendosi in rispettoso ascolto della volontà popolare, senza forzare e innervare altre dinamiche. Lasciamo che gli italiani facciano le proprie scelte con serenità, dando loro la possibilità di esprimersi con chiarezza sulle riforme e, quando verrà il tempo, su chi dovrà governare. Il leaderismo qualche volta deve sapersi anche rivestire di prudenza e buon senso, nell’interesse del Paese.