Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I giorni della Vlora
Il colonnello D’Alonzo e l’emergenza di allora «Quanta compassione»
Nonostante i suoi 41 anni, allora, 25 anni fa, Saverio Gualtiero D’Alonzo era l’«ufficiale più anziano del corpo» di polizia municipale. Formula burocratica per definire chi, in caso di guai, sia destinato ad accollarsi ogni responsabilità sotto Ferragosto. E di guaio, l’8 agosto del 1991, a D’Alonzo ne capitò uno bello grosso. Ventimila albanesi stipati in condizioni indescrivibili su una nave mercantile. Come se la cavò il povero D’Alonzo che ieri ha ricevuto dal sindaco la «stele nicolaiana della solidarietà» perché, come ha spiegato Decaro, con «buona volontà, senso del dovere, abnegazione e compassione» ha evitato che quella «prima volta che l’immigrazione bussava alle porte del nostro Paese, si trasformasse in tragedia umanitaria»?
Colonnello D’Alonzo, ci racconti quella mattina di 25 anni fa.
«Quella mattina, che poi era ancora notte, ricevetti una telefonata dal capo di gabinetto del prefetto, Antonio Nunziante (oggi vicepresidente della Regione, ndr). In qualità di ufficiale più anziano in servizio, venivo avvertito che una nave con a bordo degli albanesi dirigeva verso la provincia di Bari e avrebbe approdato probabilmente a Monopoli. Qualche minuto dopo, una nuova telefonata: a bordo erano stati quantificati ventimila passeggeri e la nave puntava verso Bari. Fu l’inizio di un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Per dieci giorni dovemmo gestirla, senza tornare a casa quasi mai». Lei come reagì?
«Era la prima volta che ci trovavamo in una situazione del genere. La protezione civile non esisteva nelle forme che oggi conosciamo. Le città allora chiudevano per ferie. Provammo a inventarci tutto. Con la difficoltà di mediare tra le articolazioni dello Stato che esaminavano la questione come un’operazione di polizia e il nostro sindaco Dalfino che, giustamente, si poneva il problema di alleviare la sofferenza di tanta povera gente».
La gestione dell’emergenza fu complicata anche da questa divaricazione tra governo centrale e governo locale?
«La scelta del governo, di contenere tutta quella gente dentro lo stadio della Vittoria, era obbligata. Ma l’obiezione del sindaco, che lamentava condizioni indecenti, insostenibili, in quel catino sotto il sole di agosto, era altrettanto legittima. Le persone scappavano, era inevitabile. E oggi posso dire che anche noi vigili, che allora avevamo la caserma proprio in quella zona e quindi ci ritrovavamo i fuggiaschi alla porta, certo rispettammo l’ordine di avviarli al rimpatrio, ma non senza averli prima accolti, rifocillati e rivestiti».
Bari è una città in genere solidale di fronte alle emergenze. Come reagirono allora i cittadini?
«Anche per i baresi era una prima volta. Era il 1991: a Bari la gente di colore si contava sulle dita di una mano. Nessuno qui aveva realmente idea di come si vivesse sotto un regime. All’inizio, certo, la gente ebbe paura di quella massa di disperati. Poi tutti si misero una mano sul cuore. Anche i negozianti aprirono i loro magazzini chiusi per ferie per fornire abiti, cibo, pur sapendo che non avrebbero visto soldi. La medaglia della gratitudine che il presidente albanese Bamir Topi ha consegnato al sindaco nel 2011 testimonia che i baresi si distinsero». E ora? Crede ci sia la stessa solidarietà verso i migranti?
«Non so. Penso che ora siamo più aperti rispetto al 1991, siamo abituati alla presenza di tanti migranti. Ma forse, per la stessa ragione, siamo meno solidali».