Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Indottrinava giovani al martirio
Fermato un ceceno a Foggia, espulsi due albanesi. «Conversazioni agghiaccianti»
Sarebbe partito per il Belgio tra qualche giorno, forse per compiere un attentato, se an-timafia barese non l'avesse fer-mato con le accuse di terrori-smo internazionale di matrice islamica e istigazione alla jihad armata. Ora si trova in carcere a Foggia li 38enne ce-ceno Eli Bombataliev. Nelle conversazioni telefoniche in-tercettate, soprattutto con la moglie e definite «agghiac-cianti» dal procuratore di Bari Giuseppe Volpe, l'uomo si dice pronto ad immolarsi. Nelle te-lefonate Bombataliev parla di «un esercito di izmila» perso-ne «che decapiterà tutti». L'in-chiesta «Caucaso connection» è partita nel marzo scorso do-po il fermo di un tunisino ac-cusato di apologia di terrori-smo. Ricostruendo la sua rete di contatti, si è poi risaliti al ceceno ritenuto un foreign fi-ghter.
Aveva combattuto in Cecenia, era passato dalla Turchia per partecipare alla guerra dell’Isis in Siria, indottrinava giovani a Foggia, ogni tanto faceva anche l’imam nel centro culturale dauno mentre tra seduzione e fanatismo aveva radicalizzato anche la sua compagna russa, che viveva a Napoli, incitandola a diventare una kamikaze: la Digos, sezione Antiterrorismo, della Questura di Bari ha arrestato a Foggia tre giorni fa, con l’accusa di terrorismo internazionale, Eli Bombataliev, trentottenne foreign fighter, che aspirava a diventare un martire dello Stato Islamico, e faceva parte di una rete ramificata in Europa con facilità di movimenti e dimestichezza nel reperire documenti falsi. Non aveva ancora completato la pratica per il rinnovo del permesso di soggiorno e a breve programmava di andare in Belgio.
L’inchiesta, denominata «Caucaso Connection», che ha portato all’espulsione della compagna russa Marina Kachmazova e dei fratelli albanesi (da dieci anni a Potenza) Orkid e Lusien Mustaqi, era partita nel marzo scorso, grazie ad informazioni sull’affiliazione del ceceno all’Isis acquisite all’Aisi, in seguito ad attività investigativa legata alla radicalizzazione dei fratelli tunisini Kamel e Habib Sadraoui, indottrinati proprio da Bombataliev, tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2015. Nelle indagini, avvenute nelle fasi finali sotto il coordinamento della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, con la partecipazione di uomini della Digos di Napoli, Foggia e Potenza, ha svolto un ruolo rilevante anche il Gico della Guardia di Finanza, consentendo di tracciare i movimenti di denaro del jihadista.
«Un uomo carismatico che nel giro di quattro giorni ottiene le chiavi del centro islamico di Foggia e ne diventa il leader»: questa la descrizione dell’arrestato tracciata dal magistrato della Dda di Bari Giuseppe Gatti, mentre il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, ha definito «agghiaccianti» le conversazioni intercettate dagli inquirenti, nonché rientranti in un potenziale schema stragista: «Quando l’arrestato istiga la moglie a indossare una cintura esplosiva - ha spiegato il procuratore - sono chiari i suoi propositi. Quando afferma che non può organizzare una famiglia normale perché quando lo chiamano lui deve immolarsi, fa chiaramente pensare alla possibilità di attentati». Nell’opera di indottrinamento della sua donna russa a Napoli, il ceceno non nascondeva il suo destino di prossimo martire: «Oggi che io ci sto sono con te, se un domani mi devono chiamare per offrire me stesso lo devo fare per forza (…) il Corano ci impedisce di farci distrarre dai figli, dai familiari e dall’umanità». L’uomo era domiciliato a Foggia, presso il centro culturale islamico «Al Dawa» di via Zara, e per alcuni mesi ha guidato la comunità che si riuniva nella piccola moschea pronunciando i sermoni del venerdì nelle vesti di imam. La sua vocazione terroristica è costantemente ribadita nei dialoghi con la donna: «Ammazzare per me non è la cosa peggiore (…) Non ho ammazzato nessuno perché non ho ancora avuto l’occasione». Non a caso dagli atti emerge che era stato tra i protagonisti del tragico attentato islamista a Grozny del dicembre 2014 (nel quale morirono 19 persone), rivendicato dalla formazione islamista denominata «Emirato del Caucaso». I due fratelli albanesi, portati sulla strada dell’islamismo più fanatico da Bombataliev, erano monitorati dalla Digos per la loro pericolosità: sono espulsi perché ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. Stesso destino per Marina Kachmazova: è stata espulsa e rimandata nella Federazione russa.