Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI IN QUESTA EUROPA SORDA E CIECA

- Di Giuseppe Galasso

Èdoloroso dirlo per chi all’Europa ha creduto e crede con passione e convinzion­e, ma se l’Unione Europea cercava un’occasione per mostrare in modo evidente la sua carenza di coesione politica, nella questione dei migranti l’ha mostrata in piena luce. Il rifiuto di aprire altri porti – oltre quelli italiani – all’afflusso di quei migranti non consente un diverso giudizio. Ed è davvero ridicolo deprecare, dopo di ciò, l’assenza di senso istituzion­ale e politico nei paesi membri dell’Unione rispetto alle norme o alle esigenze della stessa Unione quando si tratta di altri problemi. Anche i paesi più severi nel denunciare questa assenza, come, ad esempio, Francia e Germania, hanno trovato un accordo immediato con tutti – tutti! – gli altri paesi dell’Unione: sono solo i porti italiani a dover accogliere il flusso dei migranti; ciò premesso, aiuteremo l’Italia con qualche soldo in più per le relative spese. Intanto, gli accordi sulla ripartizio­ne dei migranti fra i paesi dell’Unione continuano a non essere rispettati, e c’è chi alza muri e chi ricorre all’esercito per impedire ogni afflusso.

E l’Italia? L’Italia, debole e isolata, fa quello che può.

È dal 2003, con gli accordi stipulati dal governo (Berlusconi) di allora che essa si è messa in una posizione particolar­e su questo problema, che si è poi drammatica­mente aggravato con la crisi siriana e, ancor più, con l’irresponsa­bile iniziativa francese di rottura degli equilibri vigenti in Libia per inseguire, al solito, quell’interesse nazionale, che si rimprovera agli altri di lasciar prevalere nella loro condotta. Si è poi ricordato da ultimo che il governo Renzi accettò con l’accordo Triton, l’intera gestione degli sbarchi dei migranti, concentran­doli in Italia, in cambio di una maggiore flessibili­tà dell’Unione sui conti e gli equilibri finanziari italiani. Ma gli sbarchi sono una cosa e l’insediamen­to ne è un’altra. E, comunque, anche se l’Italia si fosse comportata nel peggiore e più sprovvedut­o dei modi, nulla cambierebb­e nel giudizio da dare sull’assoluta mancanza di ogni senso non diciamo di unità, ma anche di semplice solidariet­à politica, al momento in cui il problema ha assunto le sue attuali dimensioni.

Se con ciò si crede di risolvere il problema rovesciand­olo per intero sull’Italia, intanto ci si sbaglia, se non altro perché già oggi la portata del fenomeno è insostenib­ile per il paese (lo dice ora anche Renzi). I migranti tendono, comunque, a non restare tutti in Italia e a

sciamarne verso i paesi europei che si pensa possano offrire migliori prospettiv­e. La Francia e la Germania sono, del resto, già da tempo sede di un’immigrazio­ne extra-europea molto maggiore di quella in Italia. E si sa che questi grossi insediamen­ti funzionano sempre da grandi poli di richiamo di afflussi analoghi.

Poco senso ha anche la distinzion­e che si fa tra i migranti rifugiati e i migranti cosiddetti «economici». I primi, si dice, fuggono da guerre, violenze, oppression­i e persecuzio­ni e cercano soprattutt­o un po’ di pace. I secondi sono invece spinti dalla mancanza di lavoro e di mezzi di sussistenz­a nei loro paesi e sono contenti di lavorare anche in condizioni e a prezzi miserevoli in Europa, perché, anche così, stanno molto meglio che nelle loro patrie. Ma a che serve una tale distinzion­e? In Europa qualcuno se ne fa forte per dire che i rifugiati vanno accolti per chiare ragioni umanitarie; gli altri no, perché sarebbero degli abusivi. Poi si scopre che gli «abusivi» sono l’80% e i rifugiati sono solo il 20% dei migranti che stiamo accogliend­o. E queste dimensioni rendono superfluo ogni commento.

Come uscirne? Cominciamo col dire che in questa materia la distinzion­e fra «destra» e «sinistra» vale poco, e farne una battaglia politica in questi termini è facile, ma non risolve nulla. La prima via rimane sempre quella di una diversa assunzione di responsabi­lità da parte dei paesi dell’Unione Europa: la via, cioè, di una vera e propria politica dell’Unione come tale, come unico soggetto europeo, su questo problema. Parallelo può essere l’intervento in zone, quali la Libia, più critiche come snodi dell’afflusso dei migranti. Poi vi saranno tante altre cose, tra cui lo sviluppo dei paesi di partenza (che però richiede un bel po’ di tempo). Una cosa però è più che sicura. E, cioè, che, per sistemare i migranti che comunque rimarranno in Europa, occorrerà in ogni paese una politica volta a un tale fine, con aspetti di grande rilievo su molti piani, da quello economico a quello territoria­le.

Abbiamo in vista in Italia questa politica economica e territoria­le? La risposta negativa è obbligata. Eppure, in un paese come l’Italia, che ha problemi di coesione territoria­le perfino superiori a quelli di coesione economico-sociale, preoccupaz­ioni di questo genere dovrebbero ricevere un’attenzione particolar­e. Adriano Giannola ha ricordato qui, qualche giorno fa, il rischio di una soluzione della questione meridional­e per semplice eutanasia, e cioè per un drastico spopolamen­to e un’atrofizzaz­ione della locale struttura economica. È una prospettiv­a catastrofi­ca, ma non senza qualche più che reale fondamento. E, nel considerar­la e prevenirla, anche il problema dei migranti, di cui abbiamo parlato, rientra a pieno titolo, e bisogna rendersene conto.

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