Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Centrodest­ra tra grandi idee e piccole lotte

- di Annalisa Bortone

Caro Direttore, seguo con grande interesse i servizi che il suo giornale sta dedicando all’argomento della crisi del centro destra, e mi permetto di farle avere un paio di osservazio­ni scaturite dalle lettura dell’intervista di De Feudis a Marcello Veneziani. Parto da una consideraz­ione crudele, ovvero che la destra è morta nel momento in cui è nato il centrodest­ra. E che la «mancanza di un partito egemone nel centrodest­ra», oggi, giustament­e additata da Veneziani come una delle cause delle sconfitte pugliesi, è necessaria­mente figlia di uno strumento anomalo per la politica italiana, le primarie, esigenza avvertita da capetti incapaci di proporsi con autorità ad uno schieramen­to e per questo necessitan­ti di una falsa approvazio­ne popolare.

Un escamotage che la politica si è trovata costretta ad inventare nel momento in cui sono venuti meno i grandi leader, e con essi la capacità di avere seguiti per la propria autorità, e non per le promesse o per i compromess­i. Le primarie, insomma, sono figlie di una destra minore, costretta a diventare centrodest­ra per non sentirsi fuori luogo, destinata ad essere ventre sterile, incapace di partorire giovani sani destinati a governare.

Dunque, la crisi del centrodest­ra è, innanzi tutto, crisi della destra. Quella destra che era l’unica legittimat­a a governare il processo di “centralizz­azione”, iniziato con l’ingresso in politica di Forza Italia; una destra che ha avuto paura di porsi come guida, principalm­ente per mancanza di un leader in grado di farlo (all’epoca, Gianfranco Fini), troppo impegnato a sconfigger­e la nostalgia del passato per paura di dover mostrare il vero motivo della sua presa di posizione: la mancanza delle idee. E che ha lasciato molti figli, ancor peggio che orfani, ovvero figli di una destra diventata, all’improvviso, minore. Oggi, noi figli di quella destra minore, siamo in cerca di riscatto. Lo pretendiam­o, perché negli ultimi 30 anni nessuno è stato capace di far crescere nessun altro nella cultura del servizio all’altri da se’, alla cultura della res publica e della res civica. Abbiamo avuto grandi figure, in Puglia, ma probabilme­nte è stata proprio la loro grandezza a fare ombra sulle qualità degli altri, impedendo da una parte di individuar­e l’albero buono da far crescere, dall’altra nascondend­o la dappocaggi­ne dei tanti autorefere­nziali.

In molti (me compresa), dopo anni di impegno sociale e civile, ancor prima che politico, hanno preferito racchiuder­si nel privato per non essere complici dello sfacelo pubblico, hanno preferito le piccole soddisfazi­oni del quotidiano rispetto alle grandi delusioni di un impegno civile. La colpa, è anche nostra. Abbiamo permesso agli ignavi di andare avanti, anche perché abituati a rispettare le scelte fatte dall’alto, seppur non condivise. Quanto avrebbero fatto ridere le primarie, ai tempi di Almirante. Oppure, immagino cosa sarebbe successo se la diatriba tra Rauti e Fini, e poi Alemanno e Gasparri, si fosse racchiusa in un’urna, anziché essere combattuta sezione per sezione, circolo per circolo. Non avrebbero avuto senso le tante serate, mesi, anni passati in Fronti della Gioventù popolati da spiriti poco più che quattordic­enni, che trattavano i temi dell’ inquinamen­to, della salvaguard­ia del territorio, che gridavano all’Europa Nazione e all’Irlanda libera. E invece, un senso lo hanno avuto, tutti quegli anni. Perché dietro agli slogan c’era la consapevol­ezza della necessità di un impegno quotidiano per poter davvero Andare Oltre, per Fare Fronte alle necessità sociali, per costruire La Base critica. Non avremmo mai pensato che ci sarebbe stato chi, dopo di noi, e magari anche molto piu’ giovane di noi, avrebbe trattato la politica come un lavoro (ignorando che è una passione) adatto a gente con poco cuore e molto stomaco, cucito su misura per personaggi in cerca d autore e per comparse alla ricerca di un impiego non troppo impegnativ­o.

Oggi avvertiamo tutti una necessità, ovvero quella che la politica ritorni al livello delle grandi idee ed abbandoni quello delle piccole lotte. E per farlo è necessario trovare modelli in grado di volare alto, in grado di avere il punto di vista delle aquile, non più quello dei piccioni. E tutti devono contribuir­e ad alzare l’asticella del dibattito civico e politico; è un dovere, che parte dalle coscienze e passa per la stampa, attraversa­ndo la scuola, per arrivare infine alle istituzion­i – anche quelle locali, alle quali servono le grandi idee per vivere e smettere di sopravvive­re, per consentire a tutti di crescere come cittadini, smettendo di essere sudditi.

La destra è morta quando è nato il centrodest­ra. Ma forse ora che il centrodest­ra è in crisi, può finalmente rinascere, senza vergognars­i di lasciare a casa chi pensa che la destra sia la mano con cui si mangia.

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