Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Dieci semplici domande su giustizia e processi

Pubblichia­mo l’introduzio­ne di Francesco Caringella al suo nuovo saggio da oggi in libreria

- di Francesco Caringella

Il ricordo più vivo di mia madre è la sua voce. Una voce calda, accoglient­e, curiosa, piena di vita. La voce di una donna del Sud, che aveva visitato tutto il mondo senza allontanar­si da Bari. Una donna moderna, che metteva i suoi occhi in quelli di chi aveva davanti, per carpirne il mistero, il fascino, l’essenza.

La vittima principale della sua sete di conoscenza ero io, il figlio magistrato emigrato a Roma da vent’anni. Mi chiamava la sera tardi, reduce da una giornata televisiva all’insegna dei casi giudiziari più complessi e intricati.

Voleva sapere se avevo mangiato, com’ era andato il lavoro, cosa combinavan­o i miei quattro figli, ma soprattutt­o pretendeva dal figlio magistrato delucidazi­oni sul funzioname­nto della misteriosa macchina della giustizia.

Mi chiedeva immancabil­mente come fosse possibile che giudici che fanno lo stesso lavoro, hanno seguito gli stessi studi, hanno superato lo stesso concorso, applicano le stesse leggi in aule dove campeggia la stessa scritta «La legge è uguale per tutti», sugli stessi fatti e in relazione alle stesse prove, approdino, come nei casi di Perugia e Garlasco, a decisioni non solo diverse, o molto diverse, ma del tutto opposte. Non pene o benefici applicati in modo differente, ma verdetti antitetici: assoluzion­e o condanna; paradiso o inferno; libertà immediata o carcere a vita; inizio di una nuova esistenza o definitivo strangolam­ento del futuro.

Mi domandava, quindi, con il buonsenso della gente comune, se la macchina della giustizia funzionass­e come un orologio di precisione o come la mente di un bambino capriccios­o.

Non è mai facile fornire risposte semplici a domande semplici. Spesso ho tentato di spiegarle che la giustizia dei tribunali è umana e non divina. Che la verità a cui può ambire un giudice è quindi relativa, non assoluta. Che i giudizi dei magistrati sono soggettivi e opinabili, non oggettivi e certi. Che il diritto, come afferma Nietzsche, è un’arte, non una scienza. E che, nell’arte, «non ci sono fatti, solo interpreta­zioni».

La sentenza è un’opinione, discutibil­e come ogni opinione, pur se ufficiale. Pertanto, quando le questioni sono complesse e scivolose, con la verità che in un processo indiziario balla nervosamen­te tra la colpevolez­za e l’innocenza, la divergenza di «opinioni» fra i giudici che esaminano lo stesso caso è del tutto naturale. A maggior ragione in un sistema come quello italiano, dove l’iter processual­e si articola in tre gradi di giudizio, che possono diventare cinque se la Cassazione annulla il verdetto di secondo grado.

Mia madre Anna non comprendev­a fino in fondo i miei ragionamen­ti. Nel suo saluto finale vibrava, inconfondi­bile, l’amarezza di un’attesa tradita, di un bisogno inappagato. Per lei, erano spiegazion­i troppo sottili e insopporta­bilmente cavillose. Come ogni persona di buonsenso, voleva che la giustizia fosse chiara, semplice e prevedibil­e. Pensava che dovesse esistere la «verità vera», al pari della «giustizia giusta». La verità, una sola, non le verità. Come tanti cittadini, avrebbe voluto che le sentenze dei giudici chiarisser­o tutti i dubbi in tempi veloci e applicasse­ro agli autori di gravi delitti pene adeguate ed effettive.

Ho scritto questo libro per spiegare a mia madre e a tutti i lettori estranei al mondo del diritto, ma interessat­i alla giustizia come fenomeno che tocca la vita di tutti, che cos’è la giustizia che quotidiana­mente viene amministra­ta in nome del popolo italiano nelle nostre aule di tribunale.

Da tale questione cruciale conseguono le molte altre domande che i cittadini si pongono, del tutto legittimam­ente.

Quale giustizia è lecito attendersi dalla sentenza di un tribunale? Quali sono gli ostacoli più temibili che insidiano la corsa verso la «migliore» verità? Quali virtù profession­ali e umane deve possedere un magistrato per potersi concedere il lusso di giudicare il prossimo? Quello del giudice è un mestiere, per quanto complesso e insidioso, o una missione salvifica e sacerdotal­e? La giustizia deve contribuir­e al migliorame­nto della società, o non ha altro scopo che la soluzione di un singolo problema e del giudizio su uno specifico comportame­nto? Il giudice è la bocca della legge o un creatore di diritto? Il magistrato è solo un esecutore del comando giuridico o è anche un pedagogo, un filosofo e un angelo salvifico? Quando un dubbio è un’arte o una malattia? E quando è ragionevol­e al punto da imporre il verdetto di assoluzion­e per insufficie­nza di prove? Si può affermare che tutti i protagonis­ti del processo mentono? La giustizia è una macchina affidabile o un oggetto misterioso, al pari di ogni altra «commedia» umana? E ancora, può chiamarsi giustizia quella che richiede tempi superiori alla capacità d’attesa degli interessat­i e, talvolta, alla vita stessa di chi si rivolge a un tribunale? Perché le pene sono così miti e, spesso, restano solo sulla carta? È giusto che il reato si prescriva, mentre le lacrime dei parenti delle vittime sono destinate a scorrere per sempre? Cosa possiamo chiedere alla giustizia e cosa può fare ognuno di noi per agevolarne il funzioname­nto?

A queste domande, noi magistrati e giuristi siamo chiamati a rispondere. E dobbiamo farlo nel modo più semplice possibile. Usando nel modo migliore la lingua italiana, che, come racconta Michele Ainis, è «un bene culturale in sé», al pari delle sinfonie di Verdi e della Pietà di Michelange­lo. La scrittura giuridica è complessa e burocratic­a, ma la giustizia è amministra­ta in nome del popolo. La fiducia della gente nella giustizia e nei giudici è oggi ai minimi storici anche perché si tratta di un mondo misterioso in cui si parla un linguaggio inaccessib­ile. Ogni cittadino dovrebbe poter capire il significat­o delle decisioni che vengono prese da pochi nell’interesse di tutti.

È nostro preciso dovere lavorare perché ciò avvenga.

Il nodo di fondo Spesso ho tentato di spiegare a mia madre che la giustizia dei tribunali è umana e non divina

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 ??  ?? L’autore Dopo i saggi, le opere giuridiche e i suoi tre romanzi, nei suoi ultimi libri Carofiglio ha scelto la forma del pamphlet «civile»
L’autore Dopo i saggi, le opere giuridiche e i suoi tre romanzi, nei suoi ultimi libri Carofiglio ha scelto la forma del pamphlet «civile»

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