Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’ILLUMINISMO A MEZZOGIORNO
Giovanni Russo, scomparso l’altro ieri a Roma, è stato forse l’ultimo testimone del meridionalismo storico, quello che discendeva da Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti, e Gaetano Salvemini, da Guido Dorso, Manlio Rossi-Doria e Francesco Compagna. Russo, che poi è diventato una delle firme più autorevoli del Corriere della Sera, aveva iniziato a scrivere poco più che ventenne per il Mondo di Pannunzio. Molti dei reportage pubblicati sulla rivista romana finirono in Baroni e contadini, la sua opera prima, uscita per Laterza nel 1955. ormai un classico che sembra rimandare – come disse una volta Alessandro Galante Garrone – alla grande letteratura riformatrice del Settecento meridionale. In seguito, ha continuato a raccontare le trasformazioni del Sud in altri libri: Chi ha più santi in paradiso, L’Italia dei poveri, Sud specchio d’Italia.
Dell’illuminismo meridionale Giovanni Russo è stato uno degli ultimi epigoni, in grado di raccontare non solo il Sud degli anni cinquanta, ma anche quello dei decenni successivi, anche quello lambito da altre questioni: l’urbanesimo malato, l’emigrazione intellettuale, il peso della criminalità organizzata. Oggi lo sguardo di quell’illuminismo è quanto mai attuale, proprio nel momento in cui appare inattuale. Inattuale perché il Sud e la riflessione sul Mezzogiorno sembrano essere fuorusciti dall’agenda delle forze politiche, e prima ancora dal dibattito nazionale. Inattuale, perché in risposta a tale «oblio» ha preso forma un sorta di revanscismo neoborbonico, molto lontano dal meridionalismo storico. Russo era solito ripetere che il primo decennio della Cassa del Mezzogiorno, quello in cui erano stati costruiti strade, ponti e porti, avviate le bonifiche e realizzato un bozzolo di riforma agraria, era stato sicuramente positivo. Sono stati i decenni successivi a portare invece lo sperpero di denaro pubblico, le cattedrali nel deserto, l’industrialismo degenerato. E, di questo sviluppo distorto, Taranto e Brindisi sono stati un esempio lampante.
Oggi che il Sud è molto mutato, mentre persiste il «divario» con il resto del paese, bisogna forse tornare allo sguardo concreto di Giovanni Russo, e a quel tipo di giornalismo, fatto di inchieste sul campo, revisione dei propri pregiudizi, messa in discussione dei dogmi acquisiti, incontri con le persone reali, che quello sguardo ha fatto maturare. Come per il suo maestro Carlo Levi, di cui aveva scritto un bellissimo ricordo per un libro di prossima pubblicazione per Manni (Basilicata d’autore), ciò che distingue la buona dalla cattiva scrittura è innanzitutto un dettaglio dirimente: far vedere le cose che abitualmente non vengono viste.