Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sandra, tedesca di Portici amica delle tartarughe
Biologa marina, gestisce il centro per le testuggini della stazione zoologica Dohrn
La signora delle tartarughe marine è una tedesca nata e cresciuta in un paese ai margini della Foresta Nera: Muhleim an der Ruhr. Si chiama Sandra Hochscheid, ha 44 anni ed è una biologa marina. Gestisce il centro di cura e ricerche su Caretta caretta che la Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli ha aperto alcuni mesi fa a Portici, ad un passo dal porto del Granatello. Una bella struttura nata da una storia sbagliata, quella dell’ospedale delle tartarughe che negli anni ‘90 fu progettato e realizzato a Bagnoli. Avrebbe dovuto essere il simbolo della rinascita, non è stato mai utilizzato. Animali e studiosi hanno dunque trovato casa nella città vesuviana.
«La passione per la Natura e la consapevolezza della necessità di rispettarla — racconta Hochscheid nel suo ufficio con le finestre che affacciano sul mare — è un dono che ho ricevuto da mia madre e che ho coltivato negli anni ‘80, anche grazie alle campagne condotte da associazioni come Wwf e Greenpeace. Guardavo le immagini dei massacri di foche e di balene e decisi che avrei fatto qualcosa per aiutarli. L’amore per le tartarughe è arrivato più tardi». Dopo il diploma, precisamente, anche grazie all’incontro con un ricercatore francese che era parte di una spedizione scientifica in Nuova Caledonia per un progetto di conservazione. «Mi affascinava l’idea di seguirlo fin lì, ascoltavo i suoi racconti e ne rimanevo affascinata. Non se ne fece nulla ma decisi di studiare Biologia marina. Mi sono laureata all’università di Kiel proprio con una tesi sulle tartarughe. Animali antichi, con una storia evolutiva lunghissima ed una straordinaria capacità di adattarsi all’ambiente. Hanno polmoni, respirano come noi, ma sono capaci di rimanere sott’acqua fino a 10 ore, rallentando il metabolismo in modo incredibile. Il mio fu un lavoro sperimentale in cui impiegai per la prima volta la tecnologia del datalogger, quell’apparecchio che, applicato sul carapace, immagazzina i dati relativi agli spostamenti, alla profondità di immersione e ad altri paramenti». A Cipro, nel 1997, l’esperienza che le ha cambiato la vita. «Tre mesi sulla spiaggia, giorno e notte, per monitorare i nidi ed evitare che fossero danneggiati, nell’ambito di una ricerca dell’ateneo di Aberdeen, dove ero dottoranda di ricerca. Un’esperienza indimenticabile. Fu lì che osservai per la prima volta la schiusa delle uova. Impossibile descrivere l’emozione: la sabbia che si muove come se bollisse, centinaia di testoline che spuntano, la corsa verso il mare dei neonati che inseguono la luce della luna e il riverbero delle stelle sull’acqua».
Napoli entra nella vita di Sandra nel 1999. «In verità — precisa — sarei dovuta andare in California per un altro progetto. All’ultimo momento, però, il referente si tirò indietro. Il professore che mi aveva seguito durante gli studi in Scozia mi consigliò di puntare sulla stazione zoologica Dohrn. Accettai e non sono più andata via». L’impatto fu intenso. «In Scozia — racconta -— avevo vissuto in un cottage immerso nel verde. Mi ritrovai all’improvviso nel centro storico della metropoli: rumori, odori, il piacere di sentirmi adottata contrapposto al disagio di sentirmi sempre osservata. Non è stato facilissimo. Ora abito a Monte di Procida dove la vita scorre più tranquilla».
Alla stazione zoologica la ricercatrice trova un centro pilota sulle tartarughe marine, che era stato creato praticamente dal nulla dalla biologa Flegra Bentivegna. Inizia a collaborare, arriva un primo contratto. Napoli si rivela una scelta indovinata, anche perché dal 2002 sempre più spesso le coste campane ospitano nidi di Caretta caretta. «Quindici anni fa — ricorda — successe a Baia Domizia. Sembrava un evento eccezionale poi è diventata una costante. I nidi si sono moltiplicati — complice l’incremento della temperatura media del golfo di Napoli in primavera, stagione cruciale per l’accoppiamento — e ci siamo trovati ad affrontare la sfida di evitare che fossero distrutti». Sono partite campagne di sensibilizzazione, sono stati stretti accordi con associazioni di volontari per pattugliare le coste, si è cercata la collaborazione della Capitaneria di porto e dei gestori dei lidi in concessione. I risultati, alla fine, sono arrivati. «Nel 1999 — ricorda Sandra — c’era minore sensibilità. I problemi sono ancora tanti — compromissione dei siti di nidificazione, pesca con metodi poco selettivi, diportismo senza regole, inquinamento da plastiche - ma la tartaruga marina ormai è un simbolo. Me ne accorgo quando vedo l’entusiasmo delle scolaresche che assistono alla liberazione degli esemplari curati presso di noi. Quei bimbi diventeranno adulti e spero che conservino il sentimento verso la Natura che io ho coltivato in Germania, da piccola, e che ha segnato la mia vita».
I nidi di «Caretta caretta» Quindici anni fa la schiusa delle uova di tartarughe marine sembrava un evento eccezionale poi invece è diventata una costante, i nidi si sono moltiplicati e abbiamo dovuto fare da sentinelle sulle coste campane per evitare che venissero distrutti