Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LA VERGOGNA DELLE NOMINE
Un consiglio regionale che discute animatamente, delibera, sospende delibere, si riconvoca. Partiti che si agitano, dichiarazioni, trattative frenetiche, guerra di comunicati. L’osservatore distratto, che magari legge i giornali al bar la mattina, può pensare che l’oggetto di tanta tensione morale e politica sia la sorte dell’llva e l’eterna questione tarantina, per dire. Oppure che si tratti finalmente di dare una svolta, anzi di attivare una strategia definitiva contro la Xylella. O che si stia deliberando in merito a leggi regionali contro lo schiavismo e il caporalato. Oggetto del tutto è una tornata di «nomine», un momento quasi religioso nelle liturgie della politica italiana, mica solo regionale per carità. Le «nomine» sono l’essenza stessa del sistema, sono la transustanziazione della politica che si trasforma in pane e rose per suoi beneficiari, contende al Cristo che ci hanno raccontato al catechismo il primato della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Siamo evidentemente in campo mistico religioso, non parliamo mica di cose volgari come il potere. Ma le «nomine» sono anche il momento in cui gli amministratori scendono dal palazzo del marche del Grillo, con tutti i discorsi che il gesto postula. Questa discussione in particolare ha un pregio che va riconosciuto: nessuna ipocrisia, non si parla di qualità professionali o di interessi generali della collettività. Questi davvero sono un fondale, una quinta di scena che serve a dare rilievo allo spettacolo. Sulla qualità dei protagonisti della disputa niente da dire. Ma appunto di questo si tratta. Dell’ostinato pervicace bisogno delle forze politiche, in questo caso di chi amministra, nel passato di chi ora è opposizione, di mettere il proprio marchio su un organismo rispetto al quale già tanti, e da molto tempo, sono in dubbio sulla sua reale utilità. Declinare ad alta voce le regole del Cencelli applicate agli enti regionali è un favore alla cosiddetta antipolitica che neanche il più sprovveduto giovane segretario di provincia dovrebbe compiere. Rivendicare nomine per la propria parte politica, si tratti di comunicazione, di sanità o di agricoltura, pesarne le responsabilità, adombrare addirittura la possibilità di modificare una legge regionale già modificata a suo tempo è la mortificazione dell’istituzione, un consiglio regionale non può discute su «questo è mio quello è tuo» senza riportare una lesione grave di credibilità. Peggio ancora poi, quando si apprende che esiste una lista, domande fatte, curriculum presentati. Gli enti regionali come le municipalizzate continuano ad essere fortini in cui si sono asserragliati i «cencellisti» come giapponesi nella giungla. I danni sono solo per i cittadini e per gli incolpevoli professionisti coinvolti.