Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La lezione sull’economia: Rossi, le imprese zombie e i numeri «17» e «45»
Il dg di Bankitalia: «È il divario di Pil con Francia e Germania in 25 anni»
L’economia italiana tra analisi, visioni e possibili soluzioni per rendere il trend di crescita al passo con le locomotive d’Europa. Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, ha tenuto una «lectio» per la kermesse economica promossa dal Corriere. « Ci affanniamo intorno all’economia italiana quando tutto si riassume in due numeri: 17 e 45». «Nello scorso quarto di secolo - ha spiegato - il Pil italiano è cresciuto del 17%, quello francese e tedesco di oltre il 45%».
L’economia italiana tra analisi, visioni e possibili soluzioni per rendere il trend di crescita al passo con le locomotive d’Europa. Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, ha tenuto una “lectio” nel foyer del Petruzzelli per la kermesse economica promossa dal Corriere del Mezzogiorno dando una articolata risposta al tema scelto: “Cosa sa fare l’Italia e che può fare per restare un paese avanzato?”.
«Ci affanniamo intorno all’economia italiana ed al suo destino, quando tutto si riassume in due numeri: 17 e 45. Nello scorso quarto di secolo - ha spiegato Rossi - il Pil italiano è cresciuto del 17%, quello francese e tedesco di oltre il 45%. Si tratta di una differenza enorme. Ci siamo quasi fermati. Poi la crisi ci ha dato una botta formidabile». La descrizione del quadro che ha portato l’Italia a soccombere nella contesa con gli altri competitor europei si è focalizzata sugli anni Novanta, nei quali «l’economia italiana ha rallentato la sua crescita e la produttività si è fermata. Il fenomeno è stato mondiale, ma in Italia il problema è stato più acuto».
Il contesto dell’Ue, per Rossi, è stato segnato dalla «crisi del debito sovrano, una crisi di fiducia, sociale: gli europei si sono guardati in faccia ed hanno iniziato a sospettare gli uni degli altri. C’è stato il sospetto che il governo greco avesse falsificato i conti. E ancora adesso si stenta a rimettere insieme l’Europa». Le difficoltà italiane sono riassunte da alcuni parametri inequivocabili: «Al culmine della crisi, in Italia, la produzione complessiva è diminuita di un decimo. L’apparato manifatturiero ha visto scomparire un sesto della sua capacità, sono venuti meno un milione di posti di lavoro, numeri che in passato si accompagnavano alle guerre».
La “pars costruens” è stata sviluppata con realismo dal dg della Banca d’Italia: se la storia, con il modello dell’Italia rinascimentale, offre un mito fondante della laboriosità unita al genio, la sfida dell’Italia come potenza industriale passa dall’efficienza e dal nodo delle dimensioni delle aziende. «Questo è il cuore del problema nazionale - ha aggiunto Rossi -. Le nostre imprese sono troppo piccole e tendono a impiegare i membri della propria famiglia in prima linea: una azienda così fatta, secondo la letteratura economica, risulta meno produttiva e meno efficiente. Quando si scelgono i migliori manager sul mercato i risultati sono ben differenti». «Le imprese italiane sono molto diverse. Ce ne sono di molto grandi, poche, mentre la maggioranza è fatta di imprese molto piccole. La recessione ha ulteriormente accentuato la diversità. Si è aperto un grande golfo con da un lato le imprese che esportano e fanno grandi profitti e dall’altro le imprese “zombie”, che dovrebbero uscire dal mercato. Nel mezzo c’è una flottiglia formata prevalentemente da “barchini” che non sanno se prenderanno la strada della sconfitta o del trionfo. Per aumentare il numero delle imprese di successo è necessario cambiare il “sistema Paese”, partendo da due punti nodali: la giustizia o il diritto inteso come cultura giuridica e l’istruzione. Sono questi i capisaldi di ogni riforma».