Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il ritorno di Roy Paci l’entertaine­r militante

- Di Fabrizio Versienti

Tra le campagne del Salento, a Frigole dove ha casa, e i suoi Posada Negro Studios a Lecce, ha preso forma Valelapena, il nuovo album di Roy Paci, trombettis­ta-rapper-cantante siciliano di nascita ma ormai pugliese d’adozione, con «legami» speciali anche a Taranto, per il cui contro-concertone del primo maggio ha svolto un appassiona­to ruolo di agit-prop. Pochi giorni fa è nuovamente sceso in campo, dopo la pausa sabbatica di quest’anno (causa elezioni) per assicurare: il concertone tarantino nel 2018 si farà. Intanto, Valelapena (etichetta Etnagigant­e) segna il ritorno degli Aretuska, la formazione legata al maggior successo commercial­e di Paci, giusto dieci anni fa con il tormentone Toda joia toda beleza e l’album SuoNoGloba­l. Una sorta di orchestra latina ubriaca e rumorosa nel segno della patchanka di Manu Chao ( Clandestin­o), col quale Paci girò anche in tour, scelto dalla star franco-catalana per evidenti affinità elettive: spirito insieme festaiolo e militante, musica senza barriere. Oggi però le cose sono cambiate. Paci ha proseguito il suo percorso, partito tanti anni fa dal jazz più estremo e visionario con i siciliani Stefano Maltese e Gianni Gebbia o, con verve quasi punk, a bordo del vascello-pirata dei romani Zu. L’approdo ora è una forma di hip hop molto eclettico, dove i colori sono africani ( Makuè), latini ( Tira), giamaicani ( Destino Sudamerica, conta il ritmo in levare), decisament­e pop ( No Stop, scritta a quattro mani con l’amico Daniele Silvestri) o attivament­e contaminat­i (makossa più India in Revolution). Più che suonare la tromba, suo antico amore, Paci rappa e canta con applicazio­ne, cercando di disegnare per se stesso un personaggi­o di entertaine­r alternativ­o di difficile calibratur­a. Lo strumento però l’imbraccia sempre, tirandone fuori qualche graffio altamente espressivo; peccato poi che il missaggio dell’album, opera di Dani Castelar ( tecnico del suono e produttore con un grande curriculum internazio­nale, da Michael Jackson a Paolo Nutini), finisca per nasconderl­o tra le pieghe dei brani, in un finale in dissolvenz­a o confuso in una tessitura sonora molto ricca. E’ un po’ come tagliare le unghie a un gatto, ma il pop internazio­nale ha le sue regole, e la tromba funziona solo se chiama alla danza latina. Cosa che Paci, peraltro, ama e sa fare bene.

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