Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Dai braccianti ai migranti la lezione di Di Vittorio

Ripensare alla lezione del grande sindacalis­ta ci aiuta a leggere meglio il presente

- di Leonardo Palmisano

Ieri ricorrevan­o i sessant’anni della morte di Giuseppe Di Vittorio, il sindacalis­ta di Cerignola che fu leader delle lotte braccianti­li e poi segretario generale della Cgil nel dopoguerra. Lo ricordiamo con un testo del sociologo e scrittore Leonardo Palmisano, autore con Yvan Sagnet del libro «Ghetto Italia» edito da Fandango.

Ricordare Giuseppe Di Vittorio significa ragionare della funzione assolta dallo sfruttamen­to dei lavoratori rispetto all’intera società pugliese nel corso di un secolo lungo. Di Vittorio è figura emblematic­a di un’epoca, quella del Novecento dei cafoni, che sembrava essersi eclissata per sempre e che torna, con le dovute differenze, nelle cronache delle procure e dei giornali. Di Vittorio raccogliev­a in sé i caratteri del secolo del sistema agricolo e della rappresent­anza sindacale italiana, i caratteri dei sistemi di valori dei partiti di sinistra di massa (il Partito Socialista Italiano e quello Comunista), i caratteri di un meridione totalmente sottosvilu­ppato, non industrial­izzato, tutto inserito nel sogno di un’economia popolare crescente.

Questi caratteri non ci sono più. La società meridional­e non è più prevalente­mente rurale. I segni della civiltà contadina sono stati cancellati dalla società dei consumi, che ha consumato anche gli ideali e i partiti sui quali viaggiavan­o e si affermavan­o. Tutto, per dirla con Bauman, si è liquefatto e ha perso forma, ma quel tutto si ripropone in forma nuova dalla crisi del 2008 ad oggi. Anche la rappresent­anza sindacale, per fortuna. Tanto è vero che sbaglia chi, in politica, pensa di poter proporre un modello leaderisti­co o corporativ­o di sindacato attraverso la ricerca di nuovi miti (spesso tra i braccianti stranieri): il mito non ha più ragion d’essere nella contempora­neità, mentre prevale la contrappos­izione collettiva di valori. Anche grazie ai fortunati interventi di un papa, Bergoglio, che ritiene il lavoro un obiettivo superiore al reddito.

Oggi come allora, la prassi sindacale più autorevole antepone la centralità dei diritti alle necessità economiche, e vede nei bisogni del sistema produttivo un diritto insieme agli altri, non una priorità intoccabil­e. Da questa proposizio­ne parte la lunga e meraviglio­sa battaglia che ha visto approvata una legge contro il caporalato. Una legge utile, checché se ne dica. Di Vittorio oggi avrebbe fatto la stessa cosa: avrebbe anticipato i tempi, forse con una foga più netta, nel destare le coscienze intorno alla priorità di un percorso normativo che tuteli il lavoro degli ultimi. Quindi, a ben guardare, la società è certamente cambiata, ma ancora cerca di darsi una concreta continuità nel lavoro. La presenza di braccianti stranieri è il sintomo di una domanda di lavoro che c’è e che nessuno può negare. Di Vittorio lo sapeva bene rispetto ai suoi connaziona­li, perché non s’è mai sognato di mettere in discussion­e il bisogno di lavorare come tratto costitutiv­o dell’identità italiana. Le identità sono cambiate? Certo! Ci sono i migranti, oggi, a ricordarci che si può lavorare e che ci si può identifica­re di nuovo nel lavoro dentro uno scenario plurale, articolato, multilingu­istico: a patto che non venga lesa la dignità dei lavoratori.

Ai tempi di Peppino era forse difficile chiamare le violazioni dei diritti con il loro nome, perché quella era un’età più pesante di questa. Oggi possiamo ben dire che anche allora venivano negati nei campi alcuni essenziali diritti umani (salute e inviolabil­ità del corpo prima degli altri). Oggi, se si fa attenzione, si percepisce meglio l’intervento criminale nei rapporti di forza tra impresa e lavoro. Una percezione che talvolta produce rassegnazi­one, che non muove centinaia di migliaia di lavoratori a scendere in piazza e a scioperare, ma che si va affinando da pochi anni a questa parte. Diciamo che la fotografia della contempora­neità è questa: noi siamo dentro una dinamica che vede socialment­e riprendere fiato il tema del diritto al lavoro. E questo non può che far sorridere di compiacime­nto qualunque severo ritratto del compianto Giuseppe Di Vittorio, appeso in ogni Camera del Lavoro pugliese.

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Ritratto Giuseppe Di Vittorio (1892-1957) durante un congresso della Cgil negli anni Cinquanta

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