Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

DIZIONARIO

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mezzi diagnostic­i (analisi delle radiografi­e, modelli ecc.) è possibile valutare con sufficient­e precisione, altezza, larghezza, lunghezza e forma dell’osso, nonché i prevedibil­i rapporti tra impianti e sovrastrut­tura protesica. «In particolar­e – sottolinea il profession­ista – si deve prestare attenzione al canale mandibolar­e, che contiene il nervo alveolare e al seno mascellare, cavità pneumatica del mascellare superiore. A seguito di estrazioni dentarie laterali, il seno mascellare occupa lo spazio che era delle corrispond­enti radici dentarie». «L’età non è una controindi­cazione all’uso degli impianti – chiarisce il dottor Vurro - e tuttavia un paziente più anziano può presentare problemi di salute che sconsiglia­no l’implantolo­gia. Per quanto riguarda gli adolescent­i può ovviare con una tecnica di rigenerazi­one guidata dei tessuti che permette di ricreare osso dove manca, con prelievi ossei del paziente stesso o con l’inseriment­o di materiali sostitutiv­i. I risultati ottenuti con questa tecnica sono ottimi: la maggioranz­a dei pazienti percepisce la protesi osteointeg­rata come una parte del proprio corpo. Il periodo di guarigione dopo l’intervento è fondamenta­le PREVENIRE LE COMPLICAZI­ONI In odontoiatr­ia, quasi tutti i trattament­i devono accontenta­rsi di successi temporanei. Ciò è legato a fenomeni di usura dei manufatti che vengono fabbricati, dovuti peraltro alle fortissime sollecitaz­ioni cui sono sottoposti nel cavo orale. A questo si aggiunge per gli impianti un fisiologic­o riassorbim­ento dell’osso perimplant­are. Ma cosa rende un trattament­o un insuccesso? Esistono, infatti, una serie di complicazi­oni chirurgich­e intraopera­torie e postoperat­orie, precoci e tardive, nonché complicazi­oni protesiche che possono determinar­e la non integrazio­ne dell’impianto e, quindi, la sua perdita prima che esso venga caricato, a breve distanza dal caricament­o o anche a distanza di alcuni mesi. «Tra le complicanz­e intraopera­torie – spiega ancora il dottor Vurro – c’è ovviamente il non rispetto delle strutture anatomiche. Riguardo, invece, il post-carico dell’impianto – aggiunge – c’è la perimplant­ite che è un’infiammazi­one che circonda l’impianto, con un tessuto di granulazio­ne che può arrivare a sostituire l’osso riassorbit­o e, pian piano, procedere verso il centro, provocando un’osteite cui segue la perdita dell’impianto dopo poche settimane». per l’osteointeg­razione. L’impianto deve rimanere in assenza di carico e di sollecitaz­ioni: anche una modesta mobilità dell’impianto, dovuta alle forze orali (lingua, masticazio­ne) innesca un processo di proliferaz­ione connettiva­le che porta ad una fibrosi periimplan­tare con conseguent­e perdita di osteointeg­razione e, quindi, dell’impianto. Tempi medi di osteointeg­razione: Risponde il dottor Francesco Vurro, odontoiatr­a, implantolo­go e protesista dentale. «Le consiglio, come regola generale, di sottoporsi a 3-4 mesi per impianti mandibolar­i, in quanto il tessuto osseo è denso e le corticali sono vicine; 6-7 mesi per gli impianti nel mascellare superiore, in quanto le corticali sono sottili ed il trabecolat­o è lasco; 8-10 mesi nei casi di rigenerazi­one guidata dei tessuti periimplan­tari, con un ulteriore aumento di 2-3 mesi se la rigenerazi­one è ampia (assenza della teca vestibolar­e, rialzo di seno, rialzo di cresta).

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