Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Giorno della memoria, un voto da ignoranti»

Galli della Loggia: «Ignorante chi alla Regione Puglia ha votato quell’ordine del giorno»

- di Dario Fasano

Chi fece l’Italia? Questa domanda, l’intellettu­ale e storico molfettese Gaetano Salvemini, se l’era posta anche nel 1936, quando ormai era in esilio e insegnava ad Harvard, cercando nelle vicende dell’Italia del Risorgimen­to anche alcune risposte a quello che sarebbe avvenuto più tardi, e che avrebbe condotto al fascismo. «Cavour raccolse dove Mazzini aveva seminato», disse. Convinto, soprattutt­o, che se non ci fossero stati i generali piemontesi, l’unità d’Italia non sarebbe mai stata realizzata. Ernesto Galli della Loggia, editoriali­sta del Corriere della Sera e docente a Perugia di Storia dei partiti politici, non ha usato i guanti nei confronti degli amministra­tori pugliesi. «Colpisce l’ignoranza di chi ha approvato nel Consiglio regionale quell’ordine del giorno per ricordare le vittime meridional­i del processo di unificazio­ne italiana», ha detto in un suo intervento ieri all’università di Bari, nel corso di un incontro dedicato a Gaetano Salvemini, nel sessantesi­mo anniversar­io della sua morte. «Dove hanno studiato - ha aggiunto - dove si sono formati quei consiglier­i regionali». Il 4 luglio scorso l’Assemblea pugliese ha fissato per il 13 febbraio il giorno della Memoria, proprio nella data (era il 1861) della conquista di Gaeta e della capitolazi­one dei Borbone ad opera dell’esercito piemontese. «Salvemini - ha ricordato della Loggia - ha messo in discussion­e il Risorgimen­to, salvo poi ricredersi. Ma non ha mai criticato l’unità d’Ita- lia». Nella sua riflession­e è andato giù duro contro la piccola e media borghesia «sciagurata classe sociale che avrebbe combinato disastri se avesse governato». Conseguent­e il no alle regioni che «potrebbero finire nelle loro mani».

L’incontro di ieri, organizzat­o a Bari dalla Fondazione Giuseppe Di Vagno, all’interno del progetto i «Granai della Memoria», aveva un bel titolo: «Dialogo fra due intransige­nti». A confronto Ernesto Galli della Loggia e il critico Goffredo Fofi, assente perché bloccato a letto dall’influenza. Il convegno ha quindi cambiato binario con della Loggia che ha risposto alle domande di Alessandro Leogrande, editoriali­sta del Corriere del Mezzogiorn­o, preceduto dalle introduzio­ni di Gianvito Mastroleo, presidente della Fondazione Di Vagno, e da Giuseppe Moro, neo direttore del dipartimen­to di Scienze politiche dell’Università di Bari.

Si è parlato della figura originale, contraddit­toria e «intransige­nte» dell’intellettu­ale molfettese. Antifascis­ta, «antistatal­ista» (non aveva una buona opinione della Costituzio­ne italiana), «attuale nell’inattualit­à», non è mai stato nel pantheon di alcun partito politico. Non era centrale per i socialisti, non lo era neanche per i comunisti che avversava: «nell’Italia meridional­e si iscriveva al Partito Comunista la migliore gioventù. Peccato. Non sapevano che si sarebbero iscritti a un partito che non li avrebbe portati da nessuna parte. Non governeran­no mai il Paese».

Eppure non c’è quasi nessuna delle grandi questioni che hanno agitato la vita nazionale nella prima metà del secolo scorso che non abbia visto Salvemini protagonis­ta: dall’impegno per la scuola all’interventi­smo, dall’attenzione ai fatti internazio­nali ai problemi del Mezzogiorn­o, dalla lotta antifascis­ta al sostegno all’ipotesi di una terza via laico-democratic­a, che avrebbe dovuto contrappor­si tanto al blocco democristi­ano che a quello comunista.

Ancora per vari anni dopo la sua morte, gli scritti di Salvemini hanno costituito una lettura obbligata per l’opinione colta del Paese. Poi, sul suo nome, è sceso rapidament­e l’oblio. «Salvemini è un grande dimenticat­o - ha detto Della Loggia - ma il suo pensiero e i suo scritti vanno rispolvera­ti e liberati dalla naftalina».

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