Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Il grande spirito» ciak per Rubini a Taranto
Primo ciak ieri a Taranto. Tra gli interpreti Rocco Papaleo e Bianca Guaccero
Nel 1990 esordì poco più che trentenne con La stazione, un film a basso costo che diventò un caso. Ventisette anni e 12 film dopo, Sergio Rubini torna a girare in Puglia, dove è nato e dove ha amato ambientare gran parte dei suoi lavori. Ieri mattina a Taranto ha battuto il primo ciak de Il grande spirito, il suo nuovo lungometraggio, prodotto da Fandango di Domenico Procacci con Rai Cinema e il supporto logistico di Apulia Film Commission. Saranno sei settimane di riprese che termineranno qualche giorno prima di Natale.
Rubini torna alla commedia e lo fa raccontando la storia di un’amicizia fra due perdenti, Barboncino (lo stesso regista) e «Cervo nero» (Rocco Papaleo). In un quartiere della periferia di Taranto, durante una rapina, uno dei tre complici, un cinquantenne messo male, Tonino, detto Barboncino, approfittando della distrazione degli altri due, ruba tutto il malloppo e scappa.
La storia continua con la fuga di Tonino dagli inseguitori. Una corsa di tetto in tetto fino a raggiungere una terrazza e un vecchio lavatoio dove fa l’incontro che gli cambierà la vita, quello con Cervo Nero (Rocco Papaleo), uno strano individuo che sostiene di essere un indiano (una citazione di Alce nero, un famoso stregone della tribù dei Sioux). E’ questo il richiamo al «Grande spirito» che per gli indiani d’America, come ci insegnano i film western di seconda generazione, rappresenta una potenza invocata per forza e per saggezza. E diventa l’ultima spiaggia anche per Tonino, ormai sotto assedio. Il quartiere è presidiato dai suoi inseguitori, gli angoli delle strade controllate. In questa immobilità forzata, comprendendo di essere completamente solo, a Barboncino non resta che un’unica disperata alternativa: invocare «Il grande spirito» e allearsi con il suo nuovo «amico», uno strambo pellerossa che guarda il mondo da un’altra prospettiva. Sarà lui a indicare a Tonino il modo per saltare il fosso in cui è finito.
Il film ha come protagonisti lo stesso Rubini e Rocco Papaleo, con la bitontina Bianca Guaccero e Ivana Lotito, una giovane attrice originaria di Manfredonia. La sceneggiatura è di Carla Cavalluzzi, Angelo Pasquini, Sergio Rubini, da un soggetto scritto dagli stessi sceneggiatori e dallo scrittore Diego De Silva. La fotografia è di Michele D'Attanasio, le scene di Luca Gobbi, i costumi di Patrizia Chericoni.
Oggi Rubini, 58 anni, è uno dei più affermati registi italiani con tredici film alle spalle, sette dei quali girati in Puglia. A cominciare da La stazione, il suo primo film (1990) ambientato in gran parte nella stazione di San Marco in Lamis. Dopo due film girati altrove (La bionda del 1993 e Prestazione straordinaria del 1994), torna in Puglia con Il viaggio della sposa (1997), un piccolo kolossal girato tra Noci e Conversano. Poi Tutto l’amore che c’è (2000), girato a Grumo, Giovinazzo, Altamura e Molfetta, L’anima gemella (2003), in Salento tra Gallipoli e Gagliano del Capo, e L’amore ritorna (2004), a Binetto, Bitonto, Cassano, Grumo e Palo. Infine, la scelta di Mesagne, nel brindisino, per due film: La terra (2006) e L’uomo nero (2009). Nel mezzo la scappatella fuori Puglia di Colpo d’occhio (2008). Gli ultimi «tradimenti» sono stati Mi rifaccio vivo (2013) e Dobbiamo parlare (2015), un buon film sulla fragilità dei sentimenti che a teatro ha vissuto un’altra vita.