Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SUD, ASPETTANDO LA VERA POLITICA
Il gioco dell’autunno è «chi prenderà voti e dove». Ma tutti coloro che spargono promesse nel Mezzogiorno, che girano in treno per le città o tolgono «Nord» dal nome del partito, si sono letti qualche dato macroeconomico? Un Paese serio e normale - tipo la Germania, che agli inizi dei ’90 in poche stagioni riunificò il Paese - dovrebbe mettere al centro di ogni discorso gli ultimi espliciti dati di Bankitalia, contenuti nel Rapporto sull’economia delle Regioni. La crisi economica - periodo considerato 2007-2015 ha tagliato dell’11,9% il Pil del Sud, contro il 6,7 del Centro Nord e il 5,7 o 5,9% del NordOvest e del Nord-Est. Ed anche nel 2016 il Pil per abitante del Mezzogiorno è stato il 56% di quello del resto del Paese. Un divario che si allarga inesorabile, e che secondo la banca centrale è dovuto a due fattori: la quota di popolazione occupata e la produttività, al Sud più bassa di oltre il 20 per cento rispetto al resto del Paese. In pratica, i governi che hanno gestito la crisi, anche se hanno tamponato alcune falle fino a riportare il segno “più” sui dati della crescita, hanno “dimenticato” che in un paese a due velocità si sarebbe verificato un grave fenomeno economico: le aree a minore vitalità industriale avrebbero registrato non un rallentamento dei motori, come è spesso avvenuto nel Centro-Nord, ma un totale spegnimento. Con la conseguenza che molte imprese - specie in Calabria, Sicilia, Sardegna e Campania - non sono riuscite a agganciare la congiuntura tornata favorevole. Una crisi epocale gestita come se non fosse epocale anche il divario fra le “due Italie”. E il gap risulta ancora più scottante se si esaminano altri fattori sociali. Ad esempio, l’aumentato “apartheid” fra i sessi, con l’occupazione delle donne del Sud non scolarizzate (terza media) che si ferma al 20 per cento, mentre al Nord è più del doppio; e quella delle laureate, che in 8 anni è scesa dal 62,5 al 36%, mentre al Centro e al Nord è rimasta stabile attorno al 75-77%. Un quadro desolante, in cui resistono alcuni settori come l’alimentare mentre al Centro-Nord non a caso prevalgono i comparti tecnologici. Oggi che la fiducia generale è tornata ad accompagnare le attività di impresa, sarebbe necessario che tornasse anche la politica, cioè la capacità di visione e di sviluppo delle vocazioni di un territorio. Senza più sentirsi vincolati, per esempio, a false vocazioni decise mezzo secolo fa, quando sembrava a tutti normale inchiodare una città come Taranto alla ricchezza di due decenni e ad un veleno che non ti lascia mai più.