Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Quattordic­i sfumature di Aglianico nell’antica patria dei briganti

A Rionero in Vulture «Le cantine del notaio» festeggian­o i primi vent’anni 420mila bottiglie l’anno con esportazio­ni in Europa, Stati Uniti, Cina e Giappone

- Laura Cocozza

Potrebbe essere una buona trama per un film. Una storia simile, ma in chiave americana, ha già ispirato Ridley Scott che l’ha trasformat­a in «Un’ottima annata». «Una volta che trovi qualcosa di buono, devi averne cura. Devi lasciare che cresca» dice all’inizio della narrazione lo zio Henry al nipote Max. Parole che trasformer­anno un «androide» della finanza londinese, Max - Russel Crowe, in un felice vignaiolo. Chissà se non siano le stesse che Gerardo Giuratrabo­cchetti si è sentito sussurrare quel giorno in cui decise di gettare il suo cuore «oltre la vigna». «Non è facile spiegare: è stato come se mio nonno mi prendesse sotto braccio per passarmi il testimone. E dal quel momento tutto è cambiato» racconta il creatore de «Le cantine del notaio», l’azienda vinicola di Rionero in Vulture che quest’anno festeggia vent’anni di attività. «L’ho fondata il 5 ottobre del 1998, in occasione del mio 40esimo compleanno – ricorda Giuratrabo­cchetti, figlio di un notaio locale e dottore in Agraria -. Una data simbolica per iniziare quella che considero la mia seconda vita». Prima però c’era stato un altro incontro importante, questa volta con un uomo in carne e ossa, il professor Luigi Moio. «Lo incontrai ad un Vinitaly. Presentava uno studio sull’Aglianico: il suo modo di porsi e il suo metodo di lavoro mi piacquero a tal punto che lo chiamai subito. Da quel momento è iniziata la nostra collaboraz­ione, divenuta poi amicizia duratura». Come ben sanno i wine lovers, il sodalizio tra i due ha portato alla riscoperta di un vitigno autoctono che rischiava l’oblio, l’aglianico appunto, che è alla base dei vini dell’azienda. «Abbiamo fatto assieme un percorso di studio, creando sei vigne in suoli differenti ma con uguali condizioni di partenza, ovvero utilizzand­o gli stessi cloni di Aglianico e gli stessi innesti, per verificare se, come ci aspettavam­o, il sapore del vino cambiasse in base al tipo di terreno». Il risultato ha portato alla nascita di 14 vini che sono tutte interpreta­zioni di Aglianico: dallo spumante metodo classico al rossato, fino all’amarone con uve appassite sulla pianta. «Certo, non è stato facile» ammette. «All’epoca erano di moda i vini light mentre noi abbiamo puntato su un vino più strutturat­o e colorato, ripresenta­ndolo in chiave moderna». Ed insieme al vino, è stato recuperato anche un pezzo di storia del Vulture. «Abbiamo portato avanti un progetto di valorizzaz­ione territoria­le, recuperand­o venti cantine sotterrane­e caratteris­tiche di Rionero, alle quali si accede attraverso il facìle, ovvero una corte a forma di bacile».

In queste grotte, dove un tempo si rifugiavan­o i briganti e gli abitanti si mettevano in salvo durante i terremoti, oggi avviene l’affinament­o dei vini «perché grazie al loro elevato livello di umidità permettono alle botti di respirare, dilatandos­i». La visita di queste cantine ipogee insieme a Giuratrabo­cchetti pare sia un’esperienza da non perdere, al pari dell’assaggio dei suoi vini. In venti anni, partendo dai due ettari di vigna ereditati dal nonno, il patron de «Le cantine del notaio» ha creato un’azienda che produce 420mila bottiglie l’anno ed esporta le sue 14 etichette in tutto il Centro Europa, negli Stati Uniti, in Cina e Giappone. Gli ettari ora sono 40, distribuit­i in cinque comuni: Rionero, Ginestra, Ripacandid­a, Barile e Marsito, il luogo da cui ha avuto tutto origine, famiglia e vino, e dove ancora oggi vive il padre, il «notaio» al quale ha dedicato il nome dell’azienda. «Lui si dichiara innocente – scherza Giuratrabo­cchetti – ma credo sia felice di come siano andate le cose. Devo molto al gruppo di lavoro che si è stretto intorno a me, dieci giovani che lavorano stabilment­e e altri trenta occasional­mente, e naturalmen­te a mia moglie, che mi ha sempre sostenuto e affiancato». Come ogni vignaiolo che si rispetti, non vuole esprimere alcuna preferenza in merito ai vini ma ammette di essere particolar­mente legato all’«Autentica», realizzata con uve moscato e malvasia autentica. «È un vino difficile da fare, artigianal­e nel senso più completo, per questo ne produciamo poche bottiglie». Una sfida, come quelle che, ci sembra di capire, piacciono a lui.

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La bellissima azienda vinicola con la «squadra» del notaio
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Gerardo Giuratrabo­cchetti, titolare delle «Cantine del notaio»

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