Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Se l’educazione diventa soltanto un mezzo

- di Rosalinda Cassibba

L’impostazio­ne pedagogica della nuova scuola costruita dopo il Sessantott­o ha visto nella correspons­abilità educativa fra scuola e famiglia uno dei suoi fondamenti. Tale correspons­abilità si è configurat­a come un obiettivo da realizzare ma, nello stesso tempo, come un presuppost­o da cui partire: si riteneva che scuola e famiglia avessero una base comune di valori e principi su cui fondare la collaboraz­ione reciproca.

Gli episodi ricorrenti di conflitto fra le due istituzion­i rimettono in discussion­e tale presuppost­o. Si potrebbe dire, paradossal­mente, che i valori comuni fossero più presenti quando la collaboraz­ione fra scuola e famiglia non era esplicitam­ente cercata; adesso, invece, che essa è divenuta l’orizzonte di senso della relazione, i valori educativi delle due istituzion­i sembrano sempre più divergere. Se la scuola di oggi prova a fondare la sua azione educativa su valori come le pari opportunit­à per tutti, il rispetto e la valorizzaz­ione delle diversità, l’apprendime­nto cooperativ­o, molte famiglie, specialmen­te quelle con minore capitale culturale, sembrano invece totalmente immerse nella cultura che domina il mondo della comunicazi­one. E così si finisce per pensare che l’esperienza scolastica dei figli debba servire a promuovere la loro realizzazi­one e il loro successo individual­e, da ottenere nel più breve tempo possibile; questo spiega anche la corsa verso tutte le sperimenta­zioni, i licei brevi, le conoscenze più alla moda.

In questo quadro, tuttavia, ad essere in crisi non è solo la relazione scuola-famiglia ma, ancor di più, quella tra genitori e figli. I genitori, nel rapportars­i ai propri figli, mancano di quella sana distanza che dovrebbe caratteriz­zare ogni rapporto educativo; sembrano, invece, quasi identifica­rsi nei figli e realizzars­i grazie ad essi. E allora i successi dei figli sono vissuti come i propri successi, ma anche le sconfitte dei figli diventano le proprie sconfitte. Di conseguenz­a, ogni voto negativo, ogni provvedime­nto disciplina­re nei confronti di uno studente si trasforma in un giudizio negativo sulla famiglia e viene vissuto come un ostacolo ingiusto frapposto alla ricerca del successo, al desiderio di potersi vantare di essere primi.

I docenti appaiono spiazzati da queste modalità di relazione. Nel momento in cui i genitori da alleati si trasforman­o in proiezioni ipertrofic­he dei loro figli, l’unica possibilit­à per continuare ad essere educatori sarebbe quella di potersi sentire rappresent­anti di un’istituzion­e forte, legittima, riconosciu­ta nel suo prestigio. Quando così non è, non rimane che affidarsi alla capacità individual­e di comunicazi­one; questa, tuttavia, appare una strategia di corto respiro e al più di sopravvive­nza nelle emergenze. Non si esce da questo stallo affidandos­i a iniziative estemporan­ee e individual­i, ma solo riconsider­ando la relazione educativa (a partire da quella fra genitori e figli), apprezzand­ola per il suo profondo significat­o umano che può essere sintetizza­to dall’idea che l’educazione è un fine, un valore e non un mezzo.

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Rosalinda Cassibba

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