Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Se l’educazione diventa soltanto un mezzo
L’impostazione pedagogica della nuova scuola costruita dopo il Sessantotto ha visto nella corresponsabilità educativa fra scuola e famiglia uno dei suoi fondamenti. Tale corresponsabilità si è configurata come un obiettivo da realizzare ma, nello stesso tempo, come un presupposto da cui partire: si riteneva che scuola e famiglia avessero una base comune di valori e principi su cui fondare la collaborazione reciproca.
Gli episodi ricorrenti di conflitto fra le due istituzioni rimettono in discussione tale presupposto. Si potrebbe dire, paradossalmente, che i valori comuni fossero più presenti quando la collaborazione fra scuola e famiglia non era esplicitamente cercata; adesso, invece, che essa è divenuta l’orizzonte di senso della relazione, i valori educativi delle due istituzioni sembrano sempre più divergere. Se la scuola di oggi prova a fondare la sua azione educativa su valori come le pari opportunità per tutti, il rispetto e la valorizzazione delle diversità, l’apprendimento cooperativo, molte famiglie, specialmente quelle con minore capitale culturale, sembrano invece totalmente immerse nella cultura che domina il mondo della comunicazione. E così si finisce per pensare che l’esperienza scolastica dei figli debba servire a promuovere la loro realizzazione e il loro successo individuale, da ottenere nel più breve tempo possibile; questo spiega anche la corsa verso tutte le sperimentazioni, i licei brevi, le conoscenze più alla moda.
In questo quadro, tuttavia, ad essere in crisi non è solo la relazione scuola-famiglia ma, ancor di più, quella tra genitori e figli. I genitori, nel rapportarsi ai propri figli, mancano di quella sana distanza che dovrebbe caratterizzare ogni rapporto educativo; sembrano, invece, quasi identificarsi nei figli e realizzarsi grazie ad essi. E allora i successi dei figli sono vissuti come i propri successi, ma anche le sconfitte dei figli diventano le proprie sconfitte. Di conseguenza, ogni voto negativo, ogni provvedimento disciplinare nei confronti di uno studente si trasforma in un giudizio negativo sulla famiglia e viene vissuto come un ostacolo ingiusto frapposto alla ricerca del successo, al desiderio di potersi vantare di essere primi.
I docenti appaiono spiazzati da queste modalità di relazione. Nel momento in cui i genitori da alleati si trasformano in proiezioni ipertrofiche dei loro figli, l’unica possibilità per continuare ad essere educatori sarebbe quella di potersi sentire rappresentanti di un’istituzione forte, legittima, riconosciuta nel suo prestigio. Quando così non è, non rimane che affidarsi alla capacità individuale di comunicazione; questa, tuttavia, appare una strategia di corto respiro e al più di sopravvivenza nelle emergenze. Non si esce da questo stallo affidandosi a iniziative estemporanee e individuali, ma solo riconsiderando la relazione educativa (a partire da quella fra genitori e figli), apprezzandola per il suo profondo significato umano che può essere sintetizzato dall’idea che l’educazione è un fine, un valore e non un mezzo.