Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Né coraggioso, né vittima Cerca la risposta a troppi perché

- di Sergio Talamo

Il volto vero dell’Italia è nello schernirsi del ragazzo che si butta fra le rotaie per salvare un bambino, è nel pudore del netturbino che trova un portafogli­o gonfio di soldi e lo ridà al proprietar­io. Ed è nei sussurri di Massimo Coratella. Anche lui non si sente nulla di speciale.

Né un padre-coraggio, né una vittima. Forse per questo non alza mai la voce, non scandisce nessun appello. Il rimpianto che ti attraversa l’anima è roba solo tua, è dolore lancinante che non si getta in piazza. Massimo e sua moglie hanno perso la loro bambina, Zaray, adottata sei anni prima, per una tragica mancanza dei sanitari, su cui, dopo l’inchiesta del Corriere, sta indagando la magistratu­ra. Zaray aveva 12 anni e doveva solo operarsi ad un femore. Ma le è toccata in sorte l’ipertermia maligna, reazione infiammato­ria dell’organismo ad alcuni dei gas adoperati per l’anestesia generale. Per mesi, nessuno si è degnato di dare un perché. Poi, piano piano, è venuto fuori che il farmaco salvavita, il Dantrium, che dovrebbe essere obbligator­io, c’era ma era scaduto, e che un’assistente aveva capito per tempo cosa stava accadendo ma fu zittita, e che... e che... Di fronte a questo succedersi di colpi al cuore, Massimo dice solo: «Sono rimasto male». L’uomo è così, e nella «pietà che non cede al rancore» di una canzone di De Andrè, spunta persino il sogno di aiutare gli altri. Nelle dichiarazi­oni rilasciate a Mauro Denigris, il papà di Zaray annuncia la nascita di un’associazio­ne che si occuperà di ipertermia maligna, perché tutti sappiano, «perché se anche io avessi saputo per tempo...», «perché se questo farmaco fosse istituzion­alizzato...». Se avessi saputo, se avessero controllat­o, se fosse successo questo e quell’altro. Nelle parole di un uomo devastato, si affollano i tempi di una vita parallela, quella giusta e felice in cui una bambina non muore per sbaglio. Le parole di quest’uomo, che ingentilis­cono il futuro, ridisegnan­o anche il passato. Così, sembra che Zaray abbia appena bussato alla porta di casa, sembra che ci sorrida e si rifugi nella sua stanzetta, sospesa fra i peluche e la chat con bel ragazzino con gli occhi chiari. «Zaray era la nostra ragione di vita», dice Massimo, e la sua voce mite ora sembra fare l’eco, in una casa dove fremevano gli anni di Zaray e oggi si agita solo un cucciolo di pastore tedesco. «Ogni giorno è peggio», dice ancora, e anche in questo raccontars­i così intimo c’è un senso di forza, un «non mi darò per vinto, reagirò per te che avevi un po’ di paura prima dell’operazione, e io ti guardavo e pensavo “ma quale paura, amore mio, la paura ce l’avrò io la prima sera che mi dirai papà, stasera esco”».

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