Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Né coraggioso, né vittima Cerca la risposta a troppi perché
Il volto vero dell’Italia è nello schernirsi del ragazzo che si butta fra le rotaie per salvare un bambino, è nel pudore del netturbino che trova un portafoglio gonfio di soldi e lo ridà al proprietario. Ed è nei sussurri di Massimo Coratella. Anche lui non si sente nulla di speciale.
Né un padre-coraggio, né una vittima. Forse per questo non alza mai la voce, non scandisce nessun appello. Il rimpianto che ti attraversa l’anima è roba solo tua, è dolore lancinante che non si getta in piazza. Massimo e sua moglie hanno perso la loro bambina, Zaray, adottata sei anni prima, per una tragica mancanza dei sanitari, su cui, dopo l’inchiesta del Corriere, sta indagando la magistratura. Zaray aveva 12 anni e doveva solo operarsi ad un femore. Ma le è toccata in sorte l’ipertermia maligna, reazione infiammatoria dell’organismo ad alcuni dei gas adoperati per l’anestesia generale. Per mesi, nessuno si è degnato di dare un perché. Poi, piano piano, è venuto fuori che il farmaco salvavita, il Dantrium, che dovrebbe essere obbligatorio, c’era ma era scaduto, e che un’assistente aveva capito per tempo cosa stava accadendo ma fu zittita, e che... e che... Di fronte a questo succedersi di colpi al cuore, Massimo dice solo: «Sono rimasto male». L’uomo è così, e nella «pietà che non cede al rancore» di una canzone di De Andrè, spunta persino il sogno di aiutare gli altri. Nelle dichiarazioni rilasciate a Mauro Denigris, il papà di Zaray annuncia la nascita di un’associazione che si occuperà di ipertermia maligna, perché tutti sappiano, «perché se anche io avessi saputo per tempo...», «perché se questo farmaco fosse istituzionalizzato...». Se avessi saputo, se avessero controllato, se fosse successo questo e quell’altro. Nelle parole di un uomo devastato, si affollano i tempi di una vita parallela, quella giusta e felice in cui una bambina non muore per sbaglio. Le parole di quest’uomo, che ingentiliscono il futuro, ridisegnano anche il passato. Così, sembra che Zaray abbia appena bussato alla porta di casa, sembra che ci sorrida e si rifugi nella sua stanzetta, sospesa fra i peluche e la chat con bel ragazzino con gli occhi chiari. «Zaray era la nostra ragione di vita», dice Massimo, e la sua voce mite ora sembra fare l’eco, in una casa dove fremevano gli anni di Zaray e oggi si agita solo un cucciolo di pastore tedesco. «Ogni giorno è peggio», dice ancora, e anche in questo raccontarsi così intimo c’è un senso di forza, un «non mi darò per vinto, reagirò per te che avevi un po’ di paura prima dell’operazione, e io ti guardavo e pensavo “ma quale paura, amore mio, la paura ce l’avrò io la prima sera che mi dirai papà, stasera esco”».