Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Miller, Martino e Nortover O l’improvvisazione quieta
L’improvvisazione non è solo sarcasmo e furore; è un vizio «ideologico», frutto delle abitudini di ascolto, quello che ci porta ad associare a questa pratica l’idea di una sorta di scatenamento emotivo dei musicisti. Certo, fare musica senza rete (e senza spartiti) vuol dire mettere in gioco una buona dose di istinto e di emozioni, ma ciò non toglie che altre pratiche sono sempre possibili, come hanno dimostrato nel tempo le esperienze di improvvisatori «eufonici», da Steve Lacy a Ned Rothenberg, senza dimenticare il Keith Jarrett dei «piano solo». In questi casi un disegno musicale sorvegliato e consapevole smussa molto la furia a vantaggio di un ampio ventaglio di situazioni che vanno dall’appena percepibile dei suoni «sussurrati» al fortissimo degli urli espressionisti sui sax o dei cluster sul pianoforte. The Dinner
Party, registrato a Monopoli nel 2017 ed edito in Inghilterra dall’etichetta Fmr Records, è un disco nel quale tre strumenti dialogano, attraverso otto brani totalmente improvvisati, con un altissimo grado di attenzione reciproca e di «discrezione», senza che nessuno tenda a soverchiare gli altri o a saturare gli spazi sonori. Un disco quasi «melodico», verrebbe da dire, dove non mancano gli spunti jazz con tanto di pulsazione ritmica evidente, le melodie a tempo sospeso e le atmosfere più «informali». Gli inglesi Adrian Northover al sax contralto e Vladimir Miller (russo d’origine) al pianoforte incontrano il contrabbasso del pugliese Pierpaolo Martino (in foto); ciascuno offre del suo, dalle sequenze di accordi di Miller ai graffi sonori di Northover fino ai suoni sempre in movimento di Martino. Ciascuno dei tre, a turno, fa da collante al lavoro altrui, e la musica evolve così per strani e intriganti percorsi. Non mancano riferimenti a Virginia Woolf (The Window), cara a Martino nella sua «altra vita» di professore di letteratura inglese, o alla
Echo Chamber (La stanza dell’eco) che è il titolo di un romanzo di Luke Williams, storia di un’intrigante «memoria dell’ascolto», e anche il nome del «laboratorio» barese nel quale Martino mette in gioco i suoi tanti interessi: letteratura, arte, musica, musicologia.