Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
CAMBIA LA PUGLIA DELLA CULTURA
Con la pubblicazione dei risultati dei nuovi bandi triennali voluti dalla Regione Puglia in materia culturale, possiamo ben dire che con il 2018 inizi una nuova era per la cultura pugliese, con il suo inevitabile corollario di nuove idee, nuove egemonie, realtà in ascesa e vecchi progetti che collassano. La tanto sospirata (dagli operatori) certezza dei contributi e la possibilità di pianificare per tempo l’attività sono, almeno in parte, raggiunte; in parte perché, vista la lentezza della nuova amministrazione regionale nel mettersi in moto (scontiamo almeno un anno perso, per quanto riguarda la cultura) e la lentezza delle procedure, il triennio interessato (2017-2019) è per grossa parte già andato o parzialmente programmato. La pianificazione riguarda così solo il 2019. Ma questo sarebbe già un risultato apprezzabile, se qualcuno ci assicurasse ora che le graduatorie del nuovo triennio 20202022 saranno pronte non entro il dicembre 2019 ma - al massimo - entro l’estate del prossimo anno, in modo da consentire agli operatori di lavorare secondo standard più europei. I quali operatori sono quasi tutti scontenti, perché nessuno ha avuto quanto chiedeva (va da sé, siamo in Italia e vale sempre il principio, per chi valuta i bandi, “se mi chiedi 2000 hai speso al massimo 1000”). Inoltre, molti sono gli esclusi e i penalizzati oltre misura; si potrebbero fare non pochi esempi davvero clamorosi. Ma preferiamo non entrare nel merito, per dedicarci invece a due questioni più generali su cui ci sembra urgente ragionare. Primo, il metodo: siamo sicuri che i bandi valutati da commissioni d’esperti esterni (nel caso specifico, uno solo per settore affiancato da due tecnici) siano lo strumento migliore per gestire la vita culturale di una regione? I Dialoghi di Trani o i Teatri di Bari, Time Zones o il Talos Festival di Ruvo hanno il diritto di poter programmare, ma questo si può fare egregiamente con altri tipi di strumenti, come le convenzioni pluriennali o le semplici delibere di settore dietro le quali ci siano dirigenti e amministratori che ci mettano la faccia, e magari con il ricorso ad agenzie operative di settore che - almeno in parte - ci sono già: Apulia Film Commission, Teatro Pubblico Pugliese, Puglia Sounds. La finta neutralità dei bandi, dietro i quali si registrano comunque fior di errori e scelte dettate da più che legittime preferenze, è lo strumento attraverso il quale la politica abdica a una parte delle sue responsabilità.
Secondo, il merito: la sovrapposizione delle politiche regionali e di quelle comunali nel settore, sta ratificando una situazione di fatto per cui alcune zone e città declinano, altre crescono. L’impressione, però, è che nessuno governi questi processi in modo consapevole, limitandosi a ignorarli o al massimo assecondarli. Su questo piano, ad esempio: che senso ha rendere itinerante il Medimex, se non quello di svuotare il capoluogo e indebolire la stessa manifestazione, che itinerando farà certamente più fatica a fidelizzare un pubblico e a mantenere un’aspettativa e una riconoscibilità anche a livello nazionale?
E poi: parlando di città e teatri, ci rendiamo conto che Bari ha oggi meno teatri e meno operatori nel settore dello spettacolo dal vivo di quanti ne avesse negli anni Ottanta? E che la Regione ha acquistato un teatro (il Kursaal, da tempo chiuso) e ora non sa bene che farsene, e lo lascia chiuso? Quanto accade a Lecce, invece, dimostra che accorte politiche pubbliche possono consentire la fruttuosa coesistenza di tre teatri «tradizionali» come il Politeama, il Paisiello e l’Apollo nel giro di pochi metri, oltre al polo produttivo dei Cantieri Koreja alla periferia di una città grande meno della metà del capoluogo.
A Bari, aspettiamo ancora di vedere aperti contemporaneamente i tre teatri del «miglio d’oro» della cultura: Petruzzelli, Piccinni e Kursaal. Come accadeva negli anni Ottanta, e allora c’erano anche l’Auditorium Nino Rota, l’Abeliano; solo il Kismet era di là da venire. La verità è che delle conseguenze negative di questo inevitabile «decentramento» della vita culturale regionale ce ne accorgeremo solo quando il processo sarà compiuto e avrà contribuito a distruggere quel ruolo-guida che un capoluogo dovrebbe svolgere nell’interesse di tutta la regione.
In ogni caso, negli ultimi provvedimenti della Regione c’è del buono: a cominciare dal fatto che si investa finalmente risorse sulla cultura come leva di sviluppo. Ai tempi di Vendola, era parola d’ordine. Con Emiliano abbiamo dovuto aspettare qualche anno, ma ora sembra essersi convinto anche lui. I segnali positivi sono tanti: dai soldi per le biblioteche al progetto del circuito del contemporaneo che sta prendendo forma tra Barletta e Gravina. Ma quante ombre.