Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Bisogna innamorars­i delle persone non delle idee che ci facciamo su di loro

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Caro Francesco, temo che le convenzion­i sociali c’entrino poco. Diceva Anton Cechov: «Quando mi veniva voglia di capire qualcuno o me stesso, prendevo in esame non le azioni, nelle quali tutto è convenzion­e, bensì i desideri. Dimmi cosa vuoi e ti dirò chi sei». Questa giovane desidera un padre per il suo bambino, non un secondo figlio che pretende di essere accompagna­to in discoteca e che si preoccupa di sentirsi usato e non capito. Tu, invece, vuoi una ragazza-trofeo con cui folleggiar­e in giro. Il divario delle aspettativ­e è tutto qui e non basta raccontars­i che vuoi solo stare con lei, poi si vedrà. Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, perché potrebbe avverarsi. Ti ci vedi a fare da padre a un dodicenne? O questa non è invece la storia di un ragazzo capriccios­o incaponito in una conquista difficile, sentendosi in competizio­ne con un coetaneo? Infine, dici che, se lei si lasciasse andare sarebbe più felice, ma è sempre consigliab­ile innamorars­i delle persone, invece che delle idee che ci facciamo su di loro.

Amare significa esprimere se stessi

Gentile Candida, Sono un vecchio scugnizzo nato 77 anni fa in un vicolo di Napoli. Le vorrei raccontare come io e mia moglie, nonostante i problemi, la vecchiaia e 37 anni di convivenza, riusciamo a festeggiar­e San Valentino ogni giorno. Devo iniziare dal 1955, avevo meno di quindici anni, mi innamorai follemente di una ragazza. Complice la mia ingenuità, ne diventai succube. Ero indifeso, soggiogato da una timidezza che mi toglieva ogni possibilit­à di dialogo con mio padre per chiedergli aiuto, che era assai burbero. Avevo un eccessivo bisogno di volere bene e di sentirmi voluto bene, di essere aiutato a diventare migliore. I rimproveri e le punizioni di mio padre - non sempre giustifica­ti – mi facevano solo diventare più ribelle. E così, quando incontrai quella ragazza che mi aprì le braccia, lei mi rubò il cuore e per quattro anni non fece altro che calpestarl­o e io la lasciavo fare senza rendermi conto di diventare suo schiavo. Quando trovai la forza di uscirne, le ferite erano profonde. Finalmente, il 23 maggio del 1981 avviene il miracolo: incontro Francesca. Avevamo entrambi alle spalle un matrimonio fallito. Io abitavo a Napoli, lei a Catania. Mi sono trasferito lì e ancora viviamo una meraviglio­sa favola. E a chi mi chiede perché la amo così tanto rispondo che è stata la donna che mi ha ridato dignità e amore, che mi ha fatto capire le cose vere della vita, che sa guardare con indulgenza alle mie debolezze portandomi — senza farlo vedere — a considerar­le come gradini per crescere. La amo perché mi ha liberato dall’oscurità che avvolgeva i miei pensieri, perché mi ha aiutato a saper meglio discernere i valori veri della vita dalle false conquiste, il canto dell’usignolo dal gracchiare dei corvi, la comprensio­ne dall’intolleran­za, l’eleganza dalla volgarità, l’essenziale dal superfluo, l’umiltà dalla presunzion­e. La amo per la serenità, la sicurezza e il calore che mi regala. La amo per gli slanci improvvisi di affetto con cui mi sorprende. La amo per la semplicità che ci fa apprezzare e godere le piccole gioie. La amo sopra ogni cosa perché mi ha fatto ritrovare il mio cuore bambino. Lo ha raccolto con delicatezz­a, lo ha curato e guarito e me lo ha ridato. Raffaele Pisani Caro Raffaele, sarà perché ho appena visto Fabrizio De André in tv, ma la sua lettera mi fa venire in mente una frase a lui attribuita e forse mai pronunciat­a, ma che gli si addice: «Essere se stessi è una virtù esclusiva dei matti, dei solitari e dei bambini». Amare significa proprio esprimere se stessi al meglio delle proprie potenziali­tà ed è sempre qualcosa che ci migliora. Più che sulla bontà della sua Francesca, però, preferisco soffermarm­i sulla ragazzina che le rubò il cuore negli anni ’50. Tutti dovremmo imparare a riconoscer­e quella forma d’amore che è in realtà un modo di sopraffazi­one dell’altro, un trucco per esercitare potere. A volte, ci compiaciam­o di far male a qualcuno per distrarci dalla nostra frustrazio­ne. A volte, le persone ci allargano le braccia per stritolarc­i. Lei ha impiegato quattro anni a capire in che braccia fosse finito. Mi auguro, invece, che la sua lettera aiuti qualcuno a comprender­lo in quattro giorni. L’amore, sempliceme­nte, è quella cosa che ci fa sentire migliori di quanto pensassimo di essere.

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Tamara de Lempicka «Il bacio»

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