Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Proclami elettorali e distorsioni della comunicazione
Le code ai Caf erano una esagerazione giornalistica. Ma l’enorme aumento di ricerche su Google, dopo il 4 marzo, con la stringa «reddito di cittadinanza», sono un fatto (dati Google Trends). Come pure è un fatto che gli addetti di un patronato di Palermo, per le troppe richieste, sono stati costretti ad affiggere un cartello con su scritto «non si fanno pratiche per il reddito di cittadinanza». E sono fatti anche episodi simili raccontati dalla viva voce di operatori del settore in altre parti d’Italia. Di questi fatti qualcuno ha sorriso. Io preferisco riflettere. Il mix tra le grandi aspettative generate dalle promesse elettorali (di tutti i partiti) e l’incapacità di approfondire di gran parte degli elettori (di tutti i partiti, come confermano i dati Osce sull’analfabetismo funzionale in Italia) genera ragionamenti elementari ma fallaci come il seguente: 1. il M5S ha promesso il reddito di cittadinanza; 2. il M5S «ha vinto»; 3. ho diritto al reddito di cittadinanza. Di fronte a questa automatica equazione non serve invitare a studiare meglio la misura, molto più complessa di ciò che sembra. Né serve precisare che al momento non esiste un governo, non esiste una maggioranza parlamentare, figuriamoci se può esistere già una riforma del genere. Troppo tardi. L’enorme investimento fatto, in termini di propaganda (legittima, per carità), su un provvedimento di così grande portata simbolica, lo ha trasformato in una specie di connotato identitario del Movimento 5 Stelle, tale per cui, dal 4 marzo in poi, ogni volta che in tv o sui social vediamo il viso di Di Maio «vincitore delle elezioni», con un riflesso pavloviano non possiamo non chiederci: «A che punto è il reddito di cittadinanza?». Come può la comunicazione politica uscire da queste distorsioni, che, ribadisco, riguardano tutti i partiti, non so dirlo. So solo che, a essere ottimisti, ci vorranno decenni.