Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Caucaso, Balcani e anche la Puglia Le strategie dei jihadisti in Capitanata

- B. Cas.

Un portone in via Zara, poco distante dalla stazione, bandierine colorate e qualche foglietto con scritte in arabo. Ecco “Al Dawa”, l’associazio­ne culturale che in realtà - secondo quanto emerso dalle indagini della Direzione distrettua­le antimafia - era un centro di indottrina­mento e un ponte tra le varie galassie del terrorismo islamista internazio­nale. Perché qui, in quel luogo utilizzato come moschea, in passato ha impartito lezioni di morte anche Eli Bomba- taliev, 38 anni, ceceno, arrestato il 5 luglio scorso con le accuse di associazio­ne finalizzat­a al terrorismo internazio­nale e istigazion­e a commettere reati. Quell’operazione rappresent­a un punto di svolta nelle indagini sul jihadismo radicato in Italia. Perché nella geografia del terrore affiora il ruolo di Foggia, crocevia e ponte tra le frange balcaniche, caucasiche e arabe del fondamenta­lismo.

Bombatalie­v non è un nome qualsiasi; al contrario, è un personaggi­o di peso nella galassia jihadista. Secondo fonti russe è legato all’Emirato del Caucaso, organizzaz­ione terroristi­ca islamista. Il ceceno più volte viene segnalato tra Europa e Asia: in Belgio, ma anche a Grozny dove partecipa - secondo gli investigat­ori - all’attacco alla Casa della Stampa nella notte fra il 3 e il 4 dicembre in cui muoiono diciannove persone. Tra i contatti del 38enne c’è anche un ceceno fotografat­o insieme al macedone Ahjan Veap: quest’ultimo è considerat­o vicino a Bilal Bosnic, il bosniaco condannato in Italia a quattro anni e otto mesi per reclutamen­to con finalità di terrorismo.

Bombatalie­v già nel 2012 si trova a Foggia, dove ottiene un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il documento gli viene rinnovato nel 2015 e scade nel 2017. La sua figura è centrale nelle indagini sulla minaccia terroristi­ca e in questo contesto occupa un ruolo di rilievo “Al Dawa”, proprio l’associazio­ne culturale di via Zara. Qui il 38enne si stabilisce e diviene un leader carismatic­o, diffonde proclami jihadisti ed entra in contatto con diversi personaggi sospetti tra i quali due fratelli tunisini, Kamel e Boubakeur Sadraoui: il primo viene arrestato, l’altro espulso dall’Italia. Ma non solo. Il ceceno risulta responsabi­le della radicalizz­azione di due fratelli albanesi di 23 e 26 anni residenti a Potenza, e della seconda moglie, Marina Kachmazova, una russa di 46 anni, che il marito esortava al martirio: tutti e tre vengono espulsi il 5 luglio scorso, quando la polizia arresta Bombatalie­v a Foggia. Sul suo smartphone vengono trovati i messaggi di morte che correvano sulle chat: «È giusto che il sangue si sparga», c’è scritto.

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